16/11/00

Buon Amma

di Lolli Matteo Bologna, Terzo Classificato

L’autore, in una sintesi magistrale, raccoglie tutta la vita, la missione e il messaggio di Francesco.


Emblema di carità
carismatico nella benevolenza,
campione di bontà
nella magnanimità mostro potenza.

Creatura Speciale

di Onida Maria Letizia di Sassari, Seconda Classificata

L’autore descrive la missione di Francesco che invita gli uomini a lodare Dio attraverso le
creature. L’uomo spesso distratto da falsi valori deve avere in Francesco il modello che ha scoperto la ricchezza delle cose semplici
Umile e semplice
nella tua veste nera
andavi predicando
le gioie del tuo Dio,
riscoperto e ritrovato
dietro lunghe peripezie.
E così fra un usignolo e l’altro
amavi far conoscere
quaggiù sulla terra
quell’Essere così puro,
unico e irripetibile
e ispiravi lodi da cantare
all’uomo della strada,
distratto troppo spesso
da frivolezze strane,
senza avvedersi invece
di semplici ricompense
che pervadono l’animo
di amore francescano.
Frate Francesco,
grazie per aver scoperto
e fatto amare come fratelli
la Luna, il Sole, il Fuoco,
amore insomma per il creato intero

Anima

di Speranza Fabrizio Augusta (Siracusa), Primo Classificato

L’autore passando per l’anima di Francesco, contempla le creature e il creato e vede amore. Decide di abitare in questo paradiso che narra l’amore di Dio fatto uomo.

Francesco,
Passando per la tua anima,
vidi papaveri dai mille colori,
maestosi cervi danzanti,
girandole di cigni bianchi,
veloci passaggi di delfini,
favolosi uccelli variopinti.
Banchi di nuvole dalle armoniose forme,
di arpe accompagnate da magici flauti,
e torrenti passanti per la montagna verde,
e grotte scavate dal tempo,
e foglie nervate, e rughe sapienti,
e vidi amore.
Passando per la tua anima
fui così felice che decisi
di abitare per sempre
nel tuo paradiso senza confini,
dove gli occhi parlano per la bocca
e la bocca narra
l’immenso amore di Dio
fatto uomo.

La Missione di Frate Giacinto

di Stanziani Remo di Bologna, Terzo Classificato

Il racconto descrive il dilemma di un frate ottantenne nel svolgere la missione per obbedienza di redimere le prostitute nel confessionale, abbandonando così la sua comoda e tranquilla esperienza contemplativa. E’ il dilemma fra cuore e ragione, fra le ristrettezze e i pregiudizi della seconda e la magnanimità e la larghezza del primo. La grazia non fa accezioni di persona, e la Fede va al di là delle ragioni sia del cuore e delle ragioni della ragione.

Il Padre Guardiano del Convento dei Frati Minori di San Francesco chiamo al suo cospetto frate Giacinto da Barcellona Pozzo di Gotto. “Confratello dilettissimo – gli disse con voce estrosa- mi tocca in sorte la gioia di comunicarti un grande evento che illuminerà la tua vita di servo del Signore. La nostra comunità conventuale è stata scelta per contribuire alla redenzione delle donne che vendono il loro corpo sulle strade. E’ una missione santa e santificatrice, che ci onora. Tu, fratello Giacinto, sei stato designato per coordinare e guidare l’opera nostra. Mi congratulo con te. Pace e Bene”. Tacciò nell’aria un ampio segno di croce e rimane in attesa di un “grazie” riconoscente. Frate Giacinto, invece, impallidì. Le sue labbra furono scosse da un incoercibile tremito emotivo. Quando riacquistò l’uso della favella gli riuscì di balbettare: “padre Guardiano illustrissimo, guida saggia di questo nostro convento, non ritieni tu che siffatto prestigioso incarico sia troppo pesante per le mie povere spalle di vecchio frate ottuagenario, che ha trascorso più di sessanta anni della sua vita terrena chiuso nella sua cella pregare per la salvezza delle anime e a meditare sul modo migliore per giungere puro al cospetto del Signore Iddio?”.
Il Padre Guardiano levò gli occhi al soffitto. Poi sospirò per l’evidente mancanza di fede dell’anziano confratello. Una furtiva lacrima inumidiva il suo candido ciglio quando sentenziò : “Mio amatissimo fratello Giacinto, non ci è dato vivere di sola meditazione. La nostra Regola – quella bollata con il sigillo del Venerato Pontefice Onorio Terzo – prescrive che i frati minori debbono servire il bene comune “con fedeltà e devozione”. Non v’è dubbio che la redenzione delle nostre disgraziate sorelle costrette allo squallore della prostituzione è un nostro prezioso contributo al bene comune. Non si può comparire davanti a Dio dopo una vita di sola preghiera e pretendere di essere accolti nella sua gloria. Sarebbe troppo comodo! Nella nostra ideale pagella di frati debbono figurare anche opere concrete. Fatti, e non solo parole, ancorché sante e pie. E’ vero, Giacinto, che il tuo corpo ha ottanta anni. Ma è altrettanto vero che il tuo spirito ne dimostra venti. Poiché non è il corpo che dovrai usare, ma lo spirito, tu sei l’uomo giusto”.
Frate Giacinto chinò il capo canuto, e s’avviò. Anche nella creba giornata di un vecchio frate possono capitare fatti sconvolgenti. Non era ancora giunto alla porta che sentì la voce autorevole del padre guardiano: “Sei atteso in Chiesa, fratello Giacinto. Il tuo lavoro è già cominciato. Auguri”.
Era un frate molto dimesso, nell’aspetto morale, quello che prese posto nel confessionale, attorno al quale erano inginocchiate sei donne. Che giornataccia! Non bastava il gravoso incarico piovutogli fra capo e collo! Anche il lavoro straordinario al confessionale ci voleva per sprofondarlo nell’afflizione!
Aprì la finestrella con l’aria di chi va alla tortura. AL di là della grata gli apparve il volto di una bellissima negra che gli sparò in faccia il conturbante sorriso a tutta chiostra di carnose labbra grevi di rossetto vermiglio, sgranando un paio di occhini le cui nerissime pupille risaltavano sul bianco delle cornee, mentre una zaffata di profumo di pochi soldi saturava il sacro ambiente con una virulenza talea soverchiare l’odore delle candele votive e dell’incenso.
“Dio sia lodato” farfugliò Frate Giacinto, che per poco non svenne quando sentì la risposta dell’esotica penitente: “Good morning, my dear”. Il trasecolato confessore non conosceva l’inglese. Non è necessario essere poliglotti per essere accolti nella comunità dei frati minori di San Francesco.
Tentò allora con quel poco di latino che gli era rimasto in memoria dai lontani anni del liceo: “Deus laudetur”, sospirò, ormai rassegnato. Ma provocò soltanto un frenetico agitarsi delle impiastricciate palpebre della negra, segno evidente che il latino non avrebbe risolto l’imbarazzante situazione.
Frate Giacinto era sull’orlo di un collasso nervoso quando un paffuto volto femminile seminascosto da una fitta frangia di capelli biondi che copriva gli occhi, s’inquadrò nella grata accanto alla bruna bellezza africana, mentre una squillante voce da soprano annunciava con sussiego “ Se occorre un’interprete sono a disposizione, Monsignore”.
Il povero confessore, che ormai basiva, colse al volo il provvidenziale intervento. Invitò la biondina ad accostarsi per prima al Sacramento. “Almeno capirò qualcosa”, pensò. La nuova penitente era un torrente in piena, talchè lo sconcertato frate dovette faticare per arginare la sua logorrea, dalla quale emerse i genere di peccato commesso, che era conseguenza del suo mestiere, di solito definito “il più antico del mondo”. Frate Giacinto conosceva il problema. Non era la prima volta che una donna gli confessava la pervicace violazione del sesto comandamento. In lui era maturata la convinzione che le donne costrette a vendersi sulla pubblica via potevano far parte del gregge cristiano almeno come le signore ingioiellate che frequentavano la messa domenicale, le quali commettevano lo stesso peccato senza correre gli stessi rischi.
Poiché le sei signore avevano in comune il mestiere, oltre che il conseguente peccato il frate optò per una generale assoluzione. Poi si avviò con lento passo strascicato alla sua cella nella speranza di riposarsi dopo i turbinosi eventi, mentre le sei signore biascicavano le preghiere della penitenza.
Ma fu raggiunto da un novizio, giunto da poco in convento per consolidare una recentissima vocazione, il quale gli comunicò che il padre guardiano desiderava conferire con urgenza. Frate Giacinto volse al cielo gli occhi supplici. Era lui, il penitente, non già le sei prostitute, pareva voler significare con le braccia levate per impetrare il divino soccorso .
Il padre guardiano lo accolse con un sorriso di incoraggiamento. “Come te la sei cavata con quelle signore”? Frate Giacinto riferì diligentemente il lavoro svolto.
“ hai accertato se sono state battezzate?” Il frate rispose che non gli risultava di dover chiedere il certificato di battesimo a chi si presentava al confessionale.
Il padre guardiano assunse un tono paterno” E’ diventato un problema per la Chiesa la gestione di chi si è stabilito da noi per vie anomale, e spesso clandestine. In attesa di improbabili direttive superiori il nostro convento deve affidarsi al senso di responsabilità dei frati confessori. Adesso ai le mani in pasta, mio caro fratello. Per cavarne buon pane dovrai lavorarla, e ti capiterà di infarinarti. Una pasta che si chiama umanità. Ti servirà, certo, la cristiana filosofia e la pietà in te sedimentatasi nel corso delle tue lunghe meditazioni. Ma dovrai integrarle con la Virtù cardinale della prudenza che, per dirla con San Tommaso “ è la retta norma dell’azione”. Tu sai bene che la prudenza può realizzare nella vita umana i principi della morale cristiana. Te ne servirà tanta, di prudenza, in questa magmatica società umana, così incerta e proteiforme., priva dell’ ”ubi consistam” e indifferente al Messia che verrà per indicare la giusta via. Dovrai usare l’arma incruenta dell’amore, come fece il nostro santo fondatore Francesco d’Assisi, ma anche la sapienza illuminata, come fece il nostro santo confratello Antonimo da Padova. Ciò significa che dovrai usare gli impulsi del tuo cuore e i pensieri della tua mente. E’ difficile, lo so. Forse impossibile. Ma noi frati dobbiamo provarci, anche se ci facciamo chiamare “minori”.
“Ti sarà utile avere alcune informazioni sulle signore da te già conosciute. La capogruppo è una è una serba ortodossa. Poi c’è una tedesca protestante, una scozzese presbiteriana, un ‘ebrea di origine bulgara, un’etiope copta e una marocchina musulmana. Hai così ha disposizione la gamma completa delle religioni monoteiste integrata da alcune varianti europee sull’interpretazione dell’insegnamento del Cristo Gesù. Non sono in grado di consigliarti, perciò ricorro a Dante Alighieri che ammonisce sia i religiosi che i laici: “Se bene si mira, dalla prudenza vengono i buoni consigli”. Che Dio ti assista.”
Frate Giacinto s’inchinò, e s’avviò. Fatti pochi passi gli sovvenne delle sei donne. Con l’aforisma dell’Alighieri che gli frullava per la testa stimò prudente dare un’ occhiata. Il gruppo compatto delle sei donne era raccolto in atteggiamento compunto al limite del presbiterio. Frate Giacinto si avvicinò, accolto da sei smaglianti sorrisi. Ricambiò con un gesto benedicente. Poi si mosse, finalmente, in direzione della sua cella. Ma non aveva ancora fatto tre passi quando un vagito lo inchiodò sul posto. La negra lo guardava con gli occhi di una cerbiatta che ha fiutato un leopardo.
Frate Giacinto si piazzò di fronte alla donna che stringeva al petto un bimbo di pochi giorni, nero come il carbone. “Come si chiama?” domandò, burbero. “Non ha ancora un nome”, interloquì la biondina teutonica. Il frate si sentì avvampare, come sempre gli capitava al cospetto di una nuova vita. Per lui una nuova creatura doveva subito essere consacrata con il Battesimo che, a suo parere, era la pietra d’angolo su cui si fondava la Chiesa di Cristo. Davanti a una vita novella Frate Giacinto metteva la sordina alla ragione e faceva parlare il cuore. Diceva che era la più evidente dimostrazione dell’esistenza di Dio, e anche della sua attiva partecipazione alle umane faccende. Dovere principale di ogni sacerdote – diceva – era acquisire anime alla Chiesa, perché il futuro di ogni anima – non aveva dubbi – non era concepibile al di fuori della Chiesa.
Perciò: “Il nome lo troviamo subito” dichiarò deciso “venite tutte con me”. Poi s’avvicinò al fonte battesimale con il pargolo fra le braccia. “Come si chiamerà?” domandò. Breve conciliabolo delle donne. “Gli sia imposto il nome di chi lo battezza” fu la risposta. La madre fece un cenno e sussurrò qualcosa all’orecchio della bionda tedesca.
La traduzione fu immediata: “Chiede che il Dio che sta in questa Chiesa stenda la sua mano protettrice sulla testa di suo figlio”.
“Così sia, Giacinto!”proclamò il frate con un punto d’orgoglio quasi paterno nella voce, aspergendo il novello cristiano con l’acqua lustrale, mentre il pianto del piccolo riempiva la chiesa e lacrime esotiche scorrevano per guance imbellettate.
La campanella del convento rintoccava la compieta quando Frate Giacinto, nel silenzio della sua cella, era già immerso nelle sue meditazioni.
“E’ possibile che un figlio di puttana, e negro, per giunta, diventi un buon cristiano?” si domandava, perplesso. “Si” rispondeva il suo cuore “perché sarà un uomo e sarà parte del tuo prossimo, che tu devi amare, e anche educare“.
“Forse sì e forse no” obiettava la sua ragione “perché un figlio di puttana non potrà essere avviato sulla retta via da una madre siffatta”.
W”Il rischio di andare per vie sbagliate è di tutti, non solo dei figli di puttana” affermava il cuore “inoltre l’amore cristiano non ha limiti, e la Chiesa di Cristo è casa e famiglia per tutti, come sta scritto nel Vangelo di Matteo. Quindi anche per le prostitute e i loro figli”.
“Non si può né si deve generalizzare troppo il concetto di amore cristiano, e nemmeno dilatare il concetto di prossimo oltre il popolo dei battezzati” controbatteva la ragione “perché allargando la base si perde in altezza e si privilegia l’astratto a danno del concreto”.
La campanella del convento rintoccava mattutino e Frate Giacinto si dibatteva ancora nel conflitto fra il suo cuore e la sua mente. La notte insonne gli aveva provocato una forte emicrania. Per lenire un po’ il dolore si recò nel chiostro, già illuminato dalla nuova alba. Le ultime parole di quelle donne gli martellavano in testa: “Gli sia dato il nome di chi lo battezza, e lo protegga Dio”.
Frate Giacinto levò le braccia al cielo. “ma questa è Fede!”, gridò. Aveva trovato la giusta via.
La testa non gli doleva più.

La Scelta

di Rizzo Angela di Mazara del Vallo (Trapani), Seconda Classificata

L’autrice, in un perfetto parallelismo confronta la scelta libera del giovane Francesco con quella di un giovane del nostro tempo. Giulio in una notte di riflessione e ricerca, capisce che non devono essere gli altri a programmare il suo futuro, e decide che la vita và vissuta in modo autonomo e che vale la pena di sperimentare in prima persona le fatiche della quotidianità per cercare la vera via da seguire.

Giulio tornò a casa all’alba e si mosse con cautela all’interno della villa, salendo in punta di piedi la scala che conduceva alle stanze da letto, per non svegliare i genitori. Si svestì rapidamente e s’infilò sotto le coperte, stanco e con le tempie doloranti per l’abuso di superalcolici e di sigarette. Il ritmo assordante della musica pulsava ancora nel suo cervello e davanti agli occhi saettavano le fantasmagoriche luci intermittenti della discoteca che eternavano, per una frazione di secondo, espressioni grottesche, sguardi vuoti, movimenti inconsulti…

Francesco salì prudentemente gli scalini di pietra che conducevano alla sua camera. Il vino era corso a fiumi nella taverna, in cui i vecchi amici avevano festeggiato il suo ritorno dalla battaglia contro Perugia. Assisi era illuminata dalle prime luci dell’aurora, quando si rannicchiò nel letto, coprendosi gli occhi con le confortevoli coltri. La nausea gli provocava un malessere insolito, causato non dall’ubriachezza ma dal ricordo dei lazzi volgari che non suscitavano più in lui alcuna allegria…

Giulio si laureò in Economia e Commercio con una mediocre votazione. I genitori organizzarono in suo onore un sontuoso ricevimento, felici di potere finalmente inserire il figlio nel mondo del lavoro. Avrebbe seguito le orme del padre, proprietario di una piccola ma avviata industria di maglieria, che esportava prodotti in buona parte dell’Europa. Giulio l’avrebbe diretta e il diploma di laurea avrebbe conferito un impronta più dignitosa al suo ruolo…

Francesco tentò nuovamente la carriera delle armi ed intraprese il viaggio verso la Puglia dove si sarebbe unito alle truppe di Gualtieri di Brienne, ma quando giunse a Spoleto decise di tornare indietro. Fu accolto con gioia dai Genitori Pietro di Bernardone e madonna Pica, che avevano predisposto per lui la prosecuzione dell’attività del padre, ricco commerciante di panni…

Giulio andò, alcuni giorni dopo, a visitare l’industria in compagnia del padre. La ricordava quando, bambino, vi si recava talvolta insieme con la madre, ma l’immagine che ne conservava era sbiadita e lontana, essendogli rimasto impresso solo il circostante prato della periferia in cui essa sorgeva, con i tulipani rossi e le timide margheritine che spuntavano tra i ciuffi di erba umida. Il verde era scomparso, sostituito da un’area asfaltata, intasata da biciclette e utilitarie, al centro della quale si ergeva uno squallido casermone grigio.
L’interno della fabbrica rimbombava dell’assordante e continuo rumore delle macchine, davanti le quali erano sedute prevalentemente donne, i cui corpi erano mortificati da camici scuri e i volti omologati dalla monotonia del lavoro.
Il padre lo condusse orgogliosamente, attraverso una stretta scala, al piano superiore dove si trovava quello che sarebbe divenuto il suo ufficio: attraverso una finestra si osservava un panorama dominato da ciminiere che esalavano al cielo un opprimente fumo grigiastro, la parete opposta era costituita da un pannello di vetro, che consentiva la visione della sottostante sala di lavoro. Giulio evitò di guardare il padre, ascoltandolo esaltare i vantaggi del lavoro che avrebbe intrapreso, e la gola gli si serrò in una morsa di angoscia…

Francesco aveva ripreso pienamente le forze dopo la fatica del viaggio, quando il padre lo condusse nella tintoria. Era un locale seminterrato, cui si accedeva attraverso alcuni gradini sconnessi, in cui il fumo degli enormi contenitori che servivano alla colorazione dei tessuti creava un’atmosfera infernale, resa più allucinante dai litigi degli operai e dalla sporcizia che impregnava i loro miserabili abiti. Erano uomini e donne, la cui età era stata resa indecifrabile dalla fatica, con i lineamenti contratti da un ‘espressione stolida e ottusa, i movimenti automatici, i corpi impregnati di vapore e sudore.
Pietro di Bernardone spiegava al figlio la tecnica con la quale le stoffe venivano tinte, poi stese all’aria e quindi arrotolate meticolosamente, pronte per essere vendute. Con un ampio gesto del braccio, indicava l’insieme di quel luogo sordido, in cui si affaccendava un ‘umanità diseredata e defraudata della propria dignità. Una strana vertigine lo fece barcollare e li annebbiò la vista, spingendolo a guadagnare l’uscita per respirare l’aria libera. Sugli stretti scalini si scontro cou un vecchio operaio, le braccia cariche di tessuto, che si scostò paurosamente e poi gli sorrise con deferente rispetto, aprendo la povera bocca sdentata,. Francesco lo abbracciò di slanciò e singhiozzò come un bambino, il volto nascosto sulla scarna spalla del lavoratore.

Quella notte, Giulio non dormì e si voltò e rivoltò nel letto in preda all’ansia. In realtà, non aveva mai soffermato il pensiero sul futuro che lo attendeva e che altri avevano preparato per lui. Era stato allevato nel culto di valori banali ed esteriori, avvertendo un’insoddisfazione sotterranea serpeggiare nel suo inconscio, subito esorcizzata con un vitalismo estenuante che lo lasciava prostrato. Da adolescente, frequentava la chiesa di padre Luciano ed assaporava la dolce spiritualità che emanava dalle parole dell’anziano sacerdote. Il pungente odore dell’incenso, dei fiori e della cera bruciata delle candele lo stordivano, procurandogli meravigliose sensazioni di benessere. Aveva composto delle poesie ispirate all’amore evangelico e le aveva accuratamente trascritte nel piccolo diario. Quando i genitori lessero i versi, lo allontanarono gradualmente e con discrezione dalla parrocchia, temendo che venisse deviato dal cammino che avevano già tracciato per lui. Improvvisamente si alzò, si rivestì frettolosamente e preparò una piccola valigia. Lasciò in vista un biglietto in cui comunicava la sua decisione di trascorrere alcuni giorni presso amici di una vicina località. Roberta e Fabio, che da molti anni non aveva più frequentato, gli avrebbero offerto il rifugio necessario per riflettere…

I rintocchi della campana avevano già annunciato da tempo la mezzanotte e Francesco, pieno di inquietudine e di incertezza, percorreva avanti e indietro la propria camera. Stralci di una vita superficiale e dissipata emergevano alla mente, trascinandolo nel vortice dell’abisso di una colpevole inettitudine. Aveva trascorso gli anni della giovinezza, dedicandosi oziosamente e di malavoglia allo studio di un po’ di latino e di francese, semplicemente per compiacere la madre.
Si era dedicato ai bagordi, ben vestito e con la borsa tintinnante di sonanti monete, inconsapevole della misera condizione di gran parte dell’umanità.
Aveva cantato e riso spensieratamente ed aveva abbracciato la carriera militare, per un breve periodo, non per seguire un ideale ma per il puro gusto dell’avventura, che avrebbe colorito la sua esistenza pigra e viziata.
Come in preda al delirio, mise insieme un piccolo bagaglio e si ritrovò fuori dalla casa paterna sotto un immenso cielo sereno e stellato. S’incamminò respirando a pieni polmoni la frizzane aria autunnale, ascoltando i lontani latrati dei cani e lo stormire delle foglie.
Si fermò soltanto quando fu giunto davanti alla chiesetta di S. Damiano, ai piedi del Subiaco…

I genitori di Giulio si misero in contatto telefonico con tutti gli amici del figlio e, quando lo rintracciarono, stentarono a riconoscere la sua voce dall’altro capo del filo. Dal suo timbro, infatti, emanava una sicurezza e una pacata calma che non gli riconoscevano. Espose, con un tono che non ammetteva repliche, la decisione di vivere in modo autonomo, imparando la fatica della quotidianità e cercando la vera via da seguire. Non aveva bisogno di denaro, aggiungeva, perché sarebbe stato in grado di guadagnarlo con il suo impegno…

Quando Francesco ritornò ad Assisi, dopo un mese di ritiro, dovette affrontare la furia del padre, il quale arrivò al punto di citarlo a giudizio per il suo comportamento irresponsabile. Davanti al vescovo e alla folla riunita, il giovane si spogliò degli abiti che indossava, ne fece un mucchio che depose ai suoi piedi. Volse intorno a sé uno sguardo, la cui espressione manifestava una scelta così elevata da frapporre una distanza incolmabile fra sé e gli altri. Nudo, come Dio lo aveva creato, si voltò e s’incamminò verso il mondo.

Manaos

di Rovini Maurizio Pisa, Primo Classificato

L’autore narra la storia immaginaria di un missionario francescano nella foresta amazzonica, che, nella lettera alla madre, descrive la durezza e le difficoltà del vivere questa sua scelta, ma anche dell’incommensurabile ricchezza umana che ne riceve. Le chiede da buon Francescano l’elemosina di medicine, vestiti e scarpe e le manda le foto di un bimbo che grazie a lui vive.

Cara mamma, per ritirare la tua lettera ho dovuto camminare a piedi nella foresta per due giorni ma non importa. Sono felice di sapere che state tutti bene al paese. Ho scritto soltanto “giugno” sopra nella data perché non so neppure in che giorno siamo, quaggiù non ha alcuna importanza. Piove sempre. Una cortesia ti chiedo e so che ti stupirai. Per un francescano come me chiedere oggetti di ricchezza suona molto strano ma è la pura realtà. Se tu vedessi i miei bambini, la loro miseria, il loro avere tutto del niente venderesti ogni bene e verresti qua da noi, come ho fatto io. Tu non capisti la mia scelta, volevi un figlio normale, come dicevi. Piangevi, lo ricordo benissimo e quegli attimi sono da sempre nel mio animo, come tristezza però. Tu non hai ancora capito che non hai perduto tuo figlio. Ho lasciato tutto e ciò che realizzai con le mie cose ci serve adesso. Una piccola scuola, un piccolo ospedale per i casi semplici; già i casi semplici. Da non anche la più piccola sciocchezza può essere fatale se non c’è la medicina adatta. Paradossalmente siamo circondati dalle piante che le generano le medicine per tutto il mondo ma il prodotto finito non l’abbiamo mai. Cercatori d’oro, avventurieri, pazzi scatenati che si accaniscono contro questa gente per strappargli l’unica cosa che possiedono, la terra e la loro cultura. La scorsa settimana ho avuto uno scontro con un politico proprio a Manaos sulla questione della nuova strada. Quel bel soggetto non vuole che si faccia. Dice che le nazioni Unite non hanno permesso che la foresta sia violata, che gli alberi non si toccano. Perché proprio qua dico io? Perché non portare un minimo di civiltà per far sopravvivere queste persone alle malattie e agli stenti? Perché in altre parti del mondo si permettono le stesse cose? Piango spesso perché non posso fare di più. Ti chiedi ancora nonostante il tempo qual è la ragione del mio divenire francescano? Del mio venire qua? Lo so che non mi approvi ma ti allego la foto, una delle rare che ho, del bimbo che io ho chiamato Gabriel, come l’Arcangelo. Guarda il suo sguardo felice, la sua gioia di vivere nei suoi quattro anni. I suoi occhi sarebbero ormai chiusi da tempo se non avessi portato con me gli antibiotici. Lui è la risposta alla mia vita, alla mia scelta e non rimpiango di certo la tua vita fatta di gioie terrene e materiali, di obiettivi assurdi dettati dal consumo. La vera vita è qua come lo è la morte.. Ti prego mamma mia, non inviare più una semplice lettera ma mandami delle cose, medicine, vestiti, scarpe ma non denaro, non sapremo di che farne. Allora sarò doppiamente felice di percorrere i due giorni a piedi nella foresta, per avere tue notizie e per portare la speranza alla mia nuova gente. Se avrai ancora dubbi sulla mia scelta, su questo abito che indosso, sul cordone che porto al fianco guarda la foto del piccolo Gabriel e sorridi.

Tuo Maurizio

Per mezzo di Te

di Managò Marco di Roma, Terzo Classificato

L’autore, contemplando la Croce, segno della nostra redenzione, riacquista la Fede, scoprendo che Francesco è un altro Cristo.
Miro sì il sacro legno,
testimone di fede
in questo grande impegno
che sostiene chi crede.
Riceve il suo segno
quel cieco che ora vede,
con le mani gettate
fra le braccia di un frate.

Di te Francesco

di Conficoni Leonello Susegana (Treviso), Secondo Classificato

L’autore si pone in ricerca delle origini dell’esperienza di Francesco, immaginandolo come la radice tenera di un antico albero. Nel gesto dello scavare, propone all’umanità di attingere da questa Radice che pare dormire, ma che invece può portare forte il messaggio della pace nel mondo.
Dietro la colina del tempo
di novecento inverni andati
era lì, come radice tenera
che al sole del tramonto
posava in me chiara
l’ombra del suo miracolo.
Era dietro la collina
lì proprio sul passo solito
del bruco stanco e opaco di sudore.
Tolgo la terra, annaspo con le mani
come animale che cerca un suo tesoro
anche lontano e antico.
Era il tuo legno
vanga con cui sfioravi la Tua Terra
e i campi dell’uomo Povero e semplice.
Pare dormire la Radice al Vento
voglia di risvegliare il sonno
della pace che non dorme
e scalda di umano vento
Il seminar la storia.

Sinfonia d’Amore

di Fumo Carlo Colliano (Salerno), Primo Classificato

L’autore si ispira al Cantico delle Creature e invita ogni uomo, visto come fratello, a contemplare il Creato ed a entrare in dialogo con esso mettendo in evidenza i valori cristiani francescani.

Vieni fratello
parliamo dell’acqua
dei fiori
dei tramonti
della luna
delle albe.
Vedi Fratello
sentiamo la stessa purezza
e l’odore che ci inebria
osserviamo il sole che dipinge le nuvole
la luna che ci tocca il cuore
il nuovo giorno di speranza.
Senti fratello
possiamo camminare insieme
perché non ci sono barriere
quando si vivono i nostri valori
che parlano d’amore e carità.
l’arcobaleno esprime tanti colori
ma unico è il sentimento che ci affratella.
in canti d’amore