17/11/98

San Francesco Fratello degli ultimi

di Olga Scuderi Pera, Seconda Classificata

L’autrice in rima pone l’accento sulla povertà e sulla capacità di San Francesco di essere ultimo fra gli ultimi

San Francesco ricco sei nato
fra sfarzi e lusso vissuto
un giorno la voce di Dio hai sentito
e i poveri più poveri hai avvicinato.
Quanta angoscia vedendoli soffrire
dentro il tuo cuore è entrata!
Indossasti un misero saio logori sandali
con una bisaccia sulle spalle ti sei incamminato
mendicando, di casa in casa chiedevi: cosa avevi da darmi?
Ciò che raccoglievi ai poveri lo portavi.
Oh! Santo Francesco fra i lebbrosi sei stato
curando e lenendo le loro sofferenze
anche agli uccelli hai parlato
loro cinguettando allegri tanto amore ti hanno dato.
Altri fratelli ti hanno seguito
e il loro amore ai poveri hanno donato.
Non poteva non essere così
agli onori dell’altare sei salito
grande umile fratello mio
Sei e per sempre sarai
“San Francesco Fratello degli ultimi”

Frate Francesco

di Pippo Sebastiano Fichera, Primo Classificato

L’autore in rime libere ha espresso l’essenzialità del messaggio francescano presentando l’intima comunione fra microcosmo e macrocosmo
Parlava alle piante
predicava agli uccelli
perché loro erano suoi fratelli.
Frate Francesco parlava alle piante
perché loro rispecchiavano la natura,
predicava agli uccelli
perché loro erano la vita.
La povertà era per Lui la ricchezza,
ogni cosa era dono di Dio.
Amava ogni essere umano
ma soprattutto gli ultimi
erano suoi fratelli.
L’amore per la vita
la sofferenza dell’anima
era per Lui conforto e amore.
Mai, nemmeno per un istante
ha avuto l’incertezza verso l’Onnipotente
il Creatore del cielo e della terra.
Adorava tutto ciò che Dio ha creato
perché ogni cosa era la testimonianza
della vita, della natura, della presenza del Signore.
Fratello degli ultimi
perché il Signore disse: gli ultimi saranno i primi.
Frate Francesco visse per amare il prossimo
adesso vive in cielo per essere amato.

San Francesco e il Nobile Cavaliere

di Fedel Franco Quasimodo, Terzo Classificato

L’autore esprime con uno stile narrativo la rilevazione di Dio alle creature umane. Ciascuno percepisce l’esistenza di Dio attraverso l’esistenza dell’anima che dà la stesa vita al sordo e al cieco. E se uno la immagina, non la sente, l’altro la sente, non la vede, ma entrambi hanno la stessa percezione. L’autore con una introspezione interiore, di natura esistenziale e pure filosofica, prende consapevolezza che Dio si svela per mezzo di uomini profetici che bisogna riconoscere: Francesco è uno di questi

San Francesco fu un uomo collocato, indiscutibilmente, in un posto di spicco, nel firmamento agiografico nazionale e mondiale. Un essere depositario di moltissime e incommensurabili virtù. Il rinnegamento radicale dei beni terreni; la pratica assidua dell’orazione; l’umiltà sovraumana, vestita di un sacco ruvido e non morbido; l’elemosina, distribuita a chiunque gliela chiedesse, soprattutto se il questuante la implorava “in nome di Dio”. Queste ed altre qualità lo resero un vero emulo di Cristo, perché totale realizzatore della perfezione evangelica.
In quel tempo, Francesco, percorreva a piedi scalzi, privo di denaro e di bisaccia, un impervio sentiero.
Doveva raggiungere Assisi. Strada facendo, si imbatté in un cavaliere. Costui, il conte Moroni, era proprietario di una vasta tenuta terriera, a Spoleto. Spesso e volentieri, in quella zona, amava fare le sue passeggiate col suo nero destriero.
Moroni era un empio e bestemmiatore; sposato con una donna, da lui amata, anzi trattata come una sguattera. Aveva due figli che lo rispettavano perché lo temevano; essi vedevano in lui un padre – padrone, un duro aguzzino.
Moroni, abbigliato di una mantella purpurea e calzante scarpe regali, aveva fama di essere sbruffone ed irriverente specie con i deboli. Fermò Francesco e proferì: “Ti riconosco, sei il figlio di Bernardone; ho saputo che hai rinunciato all’eredità paterna e hai restituito a tuo padre tutti gli averi. Sei un pazzo, un inetto. Cammina pure senza bisaccia; morirai di fame e di sete. Addentrati nel sentiero, come quel cane randagio che sei: le spine taglieranno i tuoi piedi nudi e delicati”. Poi ridendo e schiamazzando si allontanò.
Francesco non aveva risposto alle provocazioni di Moroni, alle sue gratuite insolenze. Pregava Iddio, affinché quel peccatore si ravvedesse; non nutriva il minimo rancore. Era convinto che gli insulti lo spingessero a correggersi, le lodi ad esaltarsi. E Francesco cercava l’encomio di Cristo ed il disprezzo del mondo.
Passarono sei mesi; Francesco si trovò a ripercorrere lo stesso sentiero, per raggiungere Assisi.
Ma mentre era prossimo al centro abitato, incontrò un uomo, lacero, sporco, trasandato. Le fattezze del corpo recavano i chiari sintomi della lebbra: il volto devastato, le braccia cosparse di ulcerazioni purulente.
Francesco riconobbe quel misero: era il conte Moroni!
Nei sei mesi precedenti, il nobile aveva subito cocenti disfatte: perso al gioco e alle scommesse parte degli averi; aveva infine, dilapidato tutto il suo patrimonio in sontuosi banchetti e con donne di facili costumi.
Francesco, avvolto nella veste della divina pietà, si tolse la sua povera tonacella e gliela offrì. Inoltre, forte della fede incrollabile in Cristo, baciò quelle piaghe, traboccanti di pus. Esse d’incanto scomparvero. Il conte, fece per inginocchiarsi e baciare i piedi di Francesco; quegli arti che Moroni aveva offeso in maniera vile e malvagia. Ma Francesco glielo impedì; lo invitò a seguirlo, ad essere paziente nelle tribolazioni; costante nella preghiera; prudente nel parlare, grato dei benefici.
Disse, inoltre, che per contemplare con gioia il Diletto, occorreva essere severi con se stessi, infinitamente comprensivi nei riguardi del prossimo.
E nel suo itinerario di perfezione spirituale, San Francesco, ardente di passione celeste e pieno di fervore nella diffusione dei precetti evangelici, aveva realizzato due capisaldi del discorso delle beatitudini: Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia; Beati i poveri in Spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli!

Alla porta del tempio

di Rogers Elkhour Vimercate (Milano), Secondo Classificato

L’autore esprime con uno stile narrativo la rilevazione di Dio alle creature umane. Ciascuno percepisce l’esistenza di Dio attraverso l’esistenza dell’anima che dà la stesa vita al sordo e al cieco. E se uno la immagina, non la sente, l’altro la sente, non la vede, ma entrambi hanno la stessa percezione. L’autore con una introspezione interiore, di natura esistenziale e pure filosofica, prende consapevolezza che Dio si svela per mezzo di uomini profetici che bisogna riconoscere: Francesco è uno di questi

Ieri, sulla porta del tempio della vita,
vidi una folla di persone che guardava con rispetto
e simpatia un anziano ed ascoltava le sue parole;
curioso di sapere quello che succedeva,
mi avvicinai alla folla e sentii queste parole:
“L’esistenza è l’anima che vi avvolge mentre l’anima è l’esistenza che è in voi,
e voi non potete fare a meno di interrogarvi sul significato della vostra esistenza.
La luce dell’alba per un vedente sordo romantico
È come una sinfonia per u cieco udente romantico,
e così ognuno vive il proprio romanticismo a modo suo.
Se io chiedo al vedente sordo che cosa significa la luce dell’alba,
egli mi risponderà “Romanticismo”.
E se io chiedo al cieco udente che cosa significa la sinfonia.
egli mi risponderà “Romanticismo”.
Ma se io chiedo a questo cieco udente che cosa significa la luce dell’alba,
egli mi risponderà “Nulla”.
Per lui il suono è una luce che illumina la sua anima,
mentre la luce è l’anima che è in sé.
Il cieco udente non potrà mai vedere ciò che un vedente sordo può vedere,
ed il vedente sordo non potrà mai sentire ciò che un cieco udente può sentire.
Voi siete come questo cieco udente, potete vedere Dio sentendolo…
Voi siete come questo vedente sordo, potete sentire Dio guardandolo…
Il mondo che è in voi, ma non l’immaginazione
È totalmente diverso dal mondo esterno,
l’unione di questi due mondi crea il mondo di ciascuno di voi.
Fratelli miei, questo mondo è ciò che svela, mentre il mondo in cui vivo è ciò che la vita mi svelò…”
Tornando a casa pensai all’ultima frase che egli disse,
ma io non capii il significato
allora decisi di tornare in quel tempio
per chiedere almeno qualche spiegazione…
E quando ci arrivai non trovai né il tempio né la folla,
trovai soltanto un povero mendicante con dei vestiti
che tesse la vita e che la vita lacerò,
egli mi guardò negli occhi e poi mi disse:
“Non c’è più nessuno..
tutti sono andati via,
tranne la povertà del mondo in cui vivo
che rimase seduta vicino a me…
poiché essa è l’unica compagna fedele
che la vita mi diede…”
Trascorsero molti anni..
Abbandonai il Libano e presi lamia strada…
Ed un giorno, passando davanti alla chiesa dei Francescani,
(il convento dei francescani a Oreno di Vimercate)
Vidi quel povero mendicante più sorridente che mai, più giovane che mai..
Ma cosa ci faceva qui, in Italia, e perché mi seguì?!
Allora egli mi guardò negli occhi e non disse nulla,
però il suo santo silenzio mi parlò…
il suo eterno silenzio fu più che sufficiente per dirmi tutto…
e da quel momento credetti solo a una cosa…
che Dio è con tutti noi, dovunque andiamo…
non importa chi siamo e non importa dove siamo

Asparagi Verdi

di Pierina Gallina Comino T (Udine), Primo Classificato

L’autrice del racconto lancia alla nostra società di perbenisti e benpensanti un forte monito per il rispetto della vita. In Giovanni, vecchio, abbandonato e debole, identifica tutti coloro che subiscono l’arroganza, la prepotenza e l’indifferenza di chi non sa capire la speranza di un disperato amore, l’autonomia di chi ha sempre dato, la ricchezza di una vita che volge al tramonto

A 84 anni suonati, Giovanni stava in casa di riposo.
Da due milioni al mese.
La sua è una pensione minima, poca cosa rispetto a due milioni.
Tutto quello che ritira in posta, lo versa all’ospizio.
Giovanni è lì da più di un anno.
E’ sempre solo al tavolo della mensa, solo nel bianco letto della minuscola cameretta.
Eppure a quattro figli, ma a loro non chiede nulla.
Mai.
E come potrebbe?
Loro hanno già tante spese e per lui nemmeno uno spicciolo la domenica le rare volte in cui vengono a fargli visita. Già, loro non hanno nemmeno tempo!
“Pazienza”, si rincuora Giovanni.
Resta il fatto che deve pagare l’ospizio e ogni giorno ha l’incubo che lo mandino via.
Tante volte desidera una sigaretta vera, da accendere con un fiammifero.
Che non sia una cicca, insomma.
Cammina male Giovanni. Sta su con due stampelle e con quelle se ne va a spasso per i campi.
Conosce tette le erbe, le chiama per nome, ad una ad una.
Eppure non sa che farsene.
Nessuno gli crede quando elenca i meriti di quella che fa bene allo stomaco o dell’altra che fa guarire l’insonnia.
Qualche infermiera, ogni tanto, fa finta di ascoltarlo.
Ma basta che lui dica “Se vuole, gliene raccolgo un po’” perché lei risponda “Per carità, lasci stare, è meglio!”.
Tanto vale, quindi, lasciarle lì, dove le ha messe mamma natura.
Ma gli asparagi selvatici, no.
Gli asparagi sono anche buoni in primavera ce ne sono tanti nei campi dietro l’ospizio. “E’ un peccato lasciarli invecchiare”, si convince Giovanni mentre li raccoglie con pazienza, inchinandosi a fatica ma riuscendoci.
Tra le mani un po’ tremanti, avvizzite, scarne, alla fine riesce a mettere insieme alcuni mazzetti di asparagi verdi, profumati e morbidi.
“Li potrei vendere al mercato. Oppure sulla strada della chiesa”, pensa Giovanni.
Decide l’angolo più adatto e lì si accovaccia, dopo aver messo le stampelle alla propria destra, in ordine.
La gente passa davanti a lui, frettolosa.
“Prego signora, mi faccia un favore. Compri questi asparagi, sono buoni, li ho colti io”.
Ma nessuno lo guarda.
Donne, uomini lo sorpassano, indifferenti.
Capita che qualche bambino si fermi davanti a lui e, incuriosito, lo osservi come fosse un simpatico pagliaccio con un sacchetto in mano.
Gli è consentito un solo istante prima che, repentinamente venga strattonato dai genitori e portato via “Non guardare, non è roba per te”.
E Giovanni sorride fra sé e sé, ricordando come erano belli i suoi bambini, quando erano piccoli, quando gli dicevano “Papà, sei il più forte del mondo”.
Perso nei suoi pensieri, continua a starsene lì, fino a quasi a mezzogiorno.
Non ha venduto un solo asparago selvatico!
Suonano le campane e lui pensa che, a quell’ora, nella casa di riposo stanno mangiando e, quindi, sia il caso di tornare. E pure alla svelta.
Sta per alzarsi. Posiziona appena le stampelle sotto le ascelle. Si ferma.
Un suono malefico, di sirena a spron battuto, gli gela il sangue.
“Un ambulanza? Chissà cosa è successo!”
Il suono si avvicina. Si placa, viene dritto dritto verso lui.
Un’auto nera frena. Due agenti in divisa scendono e gli vanno incontro.
“Documenti e autorizzazione, prego!” chiedono.
Giovanni cerca nelle tasche la tessera d’invalidità e la consegna con orgoglio. “E l’autorizzazione,ce l’ha l’autorizzazione?”
Proprio non sa di che parlino quei due in uniforme.
Lui non sa niente di autorizzazioni.
E nemmeno sa che avrebbe dovuto chiederle per vendere i suoi asparagi selvatici.
I vigili eseguono ciò che la legge stabilisce “Allora, se non ce l’ha, deve pagare un milione di multa”.
“Ma sono tre mesi di pensione, signori carabinieri, come faccio a pagare ? E come posso stare nella casa di riposo se non dò neanche la pensione?”
“Ah! È pure maleducato! Allora le facciamo anche il sequestro della merce!”
“No, vi prego, gli asparagi no. Potrei venderli, potrei ricavarne qualche lira, a qualcuno potrebbero piacere. Vi prego, ne ho bisogno”.

Per niente addolciti dalle suppliche di Giovanni, gli agenti gli requisiscono la merce e, siccome il sacchetto è un po’ sporco e gli asparagi non rispondono alle norme igieniche, lo buttano nel bidone delle immondizie.
Senza pensarci due volte.
Senza far caso alle lacrime che gli spuntano copiose dagli occhi strizzati di Giovanni. Verbale ? Fatto!
“Tenga, vecchietto, si ricordi di pagare fra un mese oppure la sbattiamo in prigione” lo rincuora uno dei due agenti, dopo avergli consegnato in malo modo, la multa. “E se ne tori all’ospizio. E’ quello il suo posto”.
La sirena non suona più quando l’auto nera riparte.
E’ mezzogiorno. Sono tutti a casa, a pranzo.
Solo Giovanni, senza sacchetto, senza asparagi, se ne sta all’angolo della strada!

Lui e Noi

di Romano Ostia Lido (Roma ), Menzione Speciale

Scelse la porta più stretta.
Sfociò nella luce
Noi siamo diversi
e amiamo barlumi.

Frate Francesco Fratello degli ultimi

di equo Silvia Favaretto Trivigliano (Verona), Seconda classificata ex equo

L’autrice del componimento esalta l’amore di Dio. L’avarizia, la superbia, la disperazione, la tristezza, la perdizione, l’indifferenza di un uomo sono vinte dall’onnipotenza dell’amore
Francesco

cammini nel sentiero scalzo
e le pietre
non sono tanto dure quanto
l’avarizia e la superbia di certi uomini.
Francesco
volgi lo sguardo al cielo
e le nuvole
non sono tanto grigie quanto
la disperazione e la tristezza di certi uomini
Francesco
accarezzi il dorso degli agnelli innocenti
e il tuo amore per le bestiole
é tanto forte quanto quello
per le anime cieche e perse di certi uomini
Riconducili
o Francesco
a percorrere il sentiero del Signore
sotto al cielo limpido del suo regno
e insegnagli a sentire affetto
per le piccole creature meravigliose
che formano, assieme a noi, il popolo di Dio.
Fagli capire Francesco
che seguendo il tuo cammino scopriranno
che l’amore di Cristo non ha primi, ne ultimi.

Preghiera

di Luigina Grandelli Canova Mantova, Seconda classificata ex equo

L’autrice del componimento si rivolge con un accorato appello a Francesco, manifestando la sua ansia per i giovani di questo travagliato scorcio di secolo, incapaci di udire e vedere le vere ricchezze dell’esistenza. Sottolinea con un contrasto di valori la vera realtà delle cose: ciò che per il mondo è ultimo diventa primo nella logica di Francesco, uomo evangelico.

Frate Francesco,
poeta della natura
che hai parlato
al lupo e all’agnello
al fuoco e all’acqua…
parla ai giovani del terzo millennio
assettati di amore e di pace.
Parla ai giovani
che rincorrono l’illusione
del successo
del potere
della ricchezza
e sussurra loro…
Il successo e l’amore
il potere l’umiltà
la ricchezza il donare.
“Fratello degli ultimi”
oggi, gli ultimi siamo noi
ricchi di noia e del superfluo
che camminiamo senza meta
in cerca del Tuo dolce Canto…
Ricchezza d’amore.

Rivoluzione di Pace

di Mario Nurchis Sassari, Primo Classificato

L’autore del componimento ha voluto esprimere quando grande sia la forza che “arma” la mano di chi ama e vuole amare, per una rivoluzione di pace e di perdono.
Nella scelta degli alleati per non venir sconfitti, troviamo dei fratelli vestiti con un sacco: l’eredità di San Francesco. Essi ci insegnano a combattere per proteggere la vita nel suo nascere, la dignità dell’uomo, la libertà, l’esistenza degli uomini, la loro salute, e i valori dello
Spirito

Un nugolo di Fratelli
come api al fiore profumato
che olezza al vento in ogni stagione
per una rivoluzione di pace.
e il piccolo si vide grande nell’umiltà
fornendo mera immagine di Cristo.
Ora, con gli occhi dello Spirito
si scorgono i soldati di uno sterminato esercito
che possiede un ‘arma terribile: L’AMORE
nella trincea di PACE e di PERDONO.
Esiste un solo modo
per non venir sconfitti:
allearsi e combattere
con chi non potrà nascere
con l’emarginato
con lo schiavo d’oppressione
con chi viene ucciso
con chi muore di fame
col malato terminale
con chi non sa.. e non potrà sapere.