16/11/01

Haiku

di Bramanti Carlo, Primo Classificato

L'autore si cimenta con un componimento classico della tradizione poetica giapponese, l'Haiku, e, con l'asciutta essenzialità delle immagini, riesce a raggiungere l'obiettivo.

“Haiku”*

Dietro lo scoglio
Bagliori di lucciola:
riaffiora un viso.


*L’haiku è un breve componimento di origine giapponese di tre versi (5,7,5 sillabe) ispirato a una stagione

La Forma

di Vecchiotti Wilma – Pescara, Terza Classificata

Racconto teso, inquietante, scritto con forza e intelligenza da una scrittrice animata da una interessante capacità visionaria. La scrittura è ferma e serrata, attenta e lucida, pur nel dolore che la sottende.

Le pasticche non hanno fatto molto effetto;do l’orologio sul comodino, le lancette segnano le due di notte: ne ho di tempo fino all’alba per i ricordi. – Quali ricordi? – mi chiedo sorridendo amara.
Essi sono spariti, dissolti come fragili bolle di sapone; li cerco, scavo nella mia povera mente nell’illusione di qualche segno, di qualche indizio ma è tutto inutile.
Un senso di vuoto e di rassegnata impotenza tornano come sempre ad assalirmi; ho cancellato i miei ricordi e mi sento come un albero autunnale insensibile al dolore della potatura dei suoi rami.
Devo invece ricordare, ricordare quella terribile colpa per soffrire, passare attraverso il dolore più cocente, quello terribile e straziante che mi devasterà l’anima. Una sensazione improvvisa: c’è qualcuno nella stanza.
Il terrore di colpo mi fa imperlare la fronte di un gelido sudore, le tempie mi pulsano, il cuore sembra impazzito, ho la gola chiusa da un urlo strozzato che si rifiuta di venire fuori… poi la vedo e stranamente la paura sparisce.
Dall’angolo più lontano della stanza una strana Forma di buio si stacca dalla parete e lentamente, molto lentamente, avanza nella mia direzione e io mi sorprendo ad aspettarla pronta, disponibile e morbosamente curiosa di provare, conoscere tutte le sfumature più sottili e sofisticate del dolore che la strana Forma di buio, ne sono certa mi infliggerà.
La Forma continua a scivolare silenziosa e leggera fino a raggiungermi; ora la la sento vicina, mi alita sul collo; un soffio gelido, di morte.
Ignoro il brivido di terrore che mi corre improvviso lungo la schiena, so cosa mi aspetta, chiudo gli occhi e mi abbandono totalmente ad essa, a quella Forma che mi darà finalmente quello che cerco inutilmente da tanto, troppo tempo: il dolore.
Sento invece un piacere infinito mentre dolce e prepotente, la Forma s’insinua i n me, mi invade tutta in modo totale imprigionandomi nella sua impalpabilità che annulla ogni peso e cancella i pensieri.
Non posso illudermi, non merito questa paradisiaca sensazione; intuisco che il dolore è lì, pronto ad aggredirmi e l’idea mi sconvolge ma nello stesso tempo voglio assaporarlo al più presto.
La Forma custodisce alla perfezione il dolore come un prezioso regalo, ma sa che non è ancora il momento di donarmelo; essa conosce bene il suo compito e lo porterà al termine.
E’ gelosa, gelosa e possessiva, io sono la sua preda e avverte che non le appartengo ancora completamente, vuole, pretende la mia attenzione tutta per sé e sa come ottenerla.
Si agita perciò dentro di me con rinnovata forza e sapente maestria indugiando a lungo nei suoi movimenti fino a farmi sciogliere nella sua dolcezza e precipitare nel nulla.
Ora mi sembra di fluttuare nell’aria e la stanza non ha più soffitto, intravedo attraverso una nube dorata uno spicchio azzurrissimo di cielo dove nuvolette grigio-rosa disegnano stupendi arabeschi.
-E’ l’alba! – penso – Stavo sognando e la Forma non esiste - .
Un senso di angoscia mi attanaglia la gola fino quasi a soffocarmi e temo di essermi illusa, invece sento fisicamente reale quella Forma dentro di me, presente come padrona incontrastata, forte e severa ma anche rassicurante e tenera, quasi materna.
Ne avverto la leggerezza e nello stesso tempo il peso, quel peso che mi opprime, che mi rende inerte e piacevolmente inchiodata a qualcosa che mi sembra il mio letto.
Il mio corpo è come sparito, annullato, inglobato, inghiottito dalla forma eterea, invisibile, quasi irreale che se ne sta immobile come in attesa di qualcosa: è consapevole del piacere che mi dona e che forse riceve a sua volta.
Mi chiedo cosa può volere la forma da me in cambio del regalo che sta per donarmi¸io non posso darle niente, sono donna cattiva, immonda, devo solo espiare, estirparmi l’anima, questa mia anima ormai immemore del passato, persa nel languore dolce e profondo del presente.
La strana Forma di buio gongola perché sono ormai diventata materia inerte nelle sue mani, facile da plasmare, docile e palpitante, spossata dalla lunga attesa ma finalmente pronta a ricevere il suo regalo.
Un breve sussulto dopo tanta pace: è il segnale che aspettavo. Trattengo il respiro e la Forma si scatena…
Di colpo la stanza prende a roteare vertiginosamente, la Forma inizia a scuotermi, a martoriarmi, mi scaglia con forza contro le pareti, poi di nuovo sul letto, sul soffitto per farmi rimanere lievitata a mezz’aria, infime mi getta in un tubo profondo, gelido e bollente allo stesso tempo che mi porta in basso, giù… nel buio più profondo.
E’ innaturale ma non ho paura perché sono consapevole e sicura di poter trovare finalmente quello che cerco: la Forma mi accontenterà.
Non riesco a vederla, a toccarla per la sua inesistente fisicità ma la sento imperiosa in ogni più piccola parte del mio corpo.
Il mio corpo, il mio povero corpo martoriato, attanagliato, avvinghiato da una morsa tremenda e macigna che tuttavia non riesce ancora a infliggermi il dolore, quel dolore violento, devastante, incontenibile, temuto ma necessario e l’attendo in un fiducioso e trepidante abbandono.
La Forma incredula e stizzita per la sua inspiegabile incapacità di soddisfare le mie aspettative continua ad infierire furiosa e testarda su di me, vuole accontentarmi, deve riuscirci, trovare la chiave per annidarsi nel più profondo della mia anima e… soddisfarla.
Perspicace intuisce che in me c’è una lotta: il mio corpo desidera essere straziato, disfatto, vuole soffrire, gemere fino allo spasimo, l’anima invece no; essa non cede, lotta ancora e il dolore anche se spasmodicamente cercato e implorato per me diventa irraggiungibile.
La strana Forma di buio avverte tale duplicità ma insiste caparbia e paziente poiché è certa del mio cedimento: troppo grande è il desiderio che si agita in me, impellente quasi quanto il suo di sentirmi urlare, implorare, vedermi sottomessa, annullata, annientata, arresa anche nell’anima per potersene impadronire.
Si avviluppa improvvisamente su se stessa – ha escogitato e messa in atto una subdola ma sicura strategia – diviene sempre più piccola, eterea, evanescente… fino a sparire.
Sento il mio corpo gemere per la mutilazione improvvisa: la Forma mi ha abbandonata.
La mia anima esulta, il mio corpo invece è prontamente assalito da una nostalgia struggente che si irradia, improvvisa e veloce, fino all’anima che viene finalmente coinvolta in un desiderio smodato di riavere la Forma, di sentirla ancora vicina.. è la resa totale.
Niente è più importante; il presente, il passato, è tutto sparito, dissolto, esiste solo lei: la strana Forma di buio.
La prego, la supplico di tornare; deve ritornare, tornare ad assalirmi, a scuotermi, ad imperversarmi, a distruggermi.
Mi aspetto che cresca in me, in tutto il mio essere, che aumenti spaventosamente come una rovinosa marea fino a sommergermi l’anima: non posso più fare a meno di lei e del suo regalo.
Ecco, la Forma tanto evocata è tornata, ora è più decisa e sicura e questa volta, guidata dal disperato desiderio del corpo ma anche dalla volontà dell’anima, penetra a fondo in me lentamente, inesorabilmente con la violenza di un fiume in piena e mi strappa finalmente un grido agghiacciante, spaventoso, incontenibile, cupo, prolungato, disperato ma grato e liberatorio.
Il dolore, quello vero, grande, terribile, il solo che poteva colpirmi l’anima.. sta arrivando.
Ormai mi sovrasta, dilaga in me, cresce, lievita a dismisura, s’insinua nella mia pelle, nelle mie viscere, nel mio cuore, avanza sempre più subdolo e mi avvolge dolce e accattivante nelle sue spire poi, spietato si arresta improvviso lasciandomi il corpo disfatto ma l’anima ancora intatta, sconvolta dal desiderio in un crescendo di attesa spasmodica.
La Forma sadica e vendicativa indugia ancora, vuole e deve spadroneggiare su di me per punirmi della tentata resistenza della mai anima.
Il desiderio del suo dono deve essere per me così totale da uccidermi perciò rallenta, malvagia, ancora di più il suo cammino.
Interrompendolo per brevissimi o eterni attimi… ritarda per pregustare a lungo e appieno il momento della soddisfazione di entrambe.
Una luce abbagliante che si frantuma in miriadi di scintille, un’esplosione violenta, un’ immensa voragine… la Forma ha raggiunto trionfante la mia anima e delicatamente vi depone il suo dono.
Quella mattina eri molto in ritardo, innestasti in fretta la marcia indietro; il gioioso sorriso svanito all’istante negli occhietti increduli e accusatori del tuo bambino…
La strana Forma di buio torna a celarsi nella parete più lontana della stanza.

Rosa d’Irlanda

di Giacalone Elisa - Marsala (Trapani), Seconda Classificata

Interessante sviluppo di una storia scritta con grazia e centrata su un incontro reale dopo contatti virtuali su internet. L'autrice sa giocare al lettore un simpatico colpo di scena proprio nel momento culminante del racconto: e ci riesce con misura, senso "teatrale" del tempo e una... strizzatina d'occhio.

Le sei meno sei segnava l’enorme orologio affisso su una delle pareti dell’Aeroporto Punta Raisi di Palermo. Il giovane alto in divisa di tenente dell’Aereonautica alzò il viso abbronzato stringendo gli occhi per notare l’ora esatta. Il cuore gli batteva con una violenza che lo turbava. Tra sei minuti avrebbe visto la donna che negli ultimi quindici mesi aveva occupato un posto tanto importante nella sua vita, la donna che non aveva mai visto e che tuttavia era stata per lui un sostegno continuo.
Che modo strano però di imbattersi l’uno nell’altra…
Un incontro telematico. Il tenente Croce stava finalmente imparando ad assaporare i suoi attimi di relax. Da quando, poi, aveva scoperto che la multimedialità e la telematica non erano oggetti per pochi eletti, ci si era buttato a capofitto. Aveva trascinato amici lontani e vicini in questa avventura virtuale. Lontano dal lavoro, il suo temperamento cambiava radicalmente. Aveva voglia di giocare, immergendosi in una diversa realtà lontano dal vivere quotidiano. E poi impazziva per tutti quei nickname (Luna73, Fiordaliso, Blue, Mr Psyco, Licia, blackman.. e chi ne ha, più ne metta). Un vero spasso! Che voglia di lasciarsi trasportare dalla fantasia, conoscere gente per mezzo di una tastiera e di un monitor, immaginare un volto dietro quelle parole che prendono vita nello schermo. Trascorreva delle ore a chiacchierare…
Ops.. chattare è il termine corretto. Ma una sera, un nuovo nomignolo era apparso nella lista degli utenti collegati alla chat Rosa d’Irlanda. In quello stesso istante Franco si presentò chiedendole di poterla conoscere meglio e da allora ebbe inizio la loro storia. Rosa d’Irlanda, come già preannunciava il nick, era una ragazza irlandese che chattava per imparare l’italiano. Era un’infermiera. Quando ricevette il messaggio rimase piacevolmente sorpresa dalla semplicità del nickname del suo nuovo interlocutore: Franco, un nome che sapeva di pulito, naturale, assolutamente non ricercato. Cominciarono così a raccontarsi le loro giornate, i loro sogni, le delusioni, le loro vite.. Le mani scorrevano veloci sulla tastiera e, giorno dopo giorno, quello che inizialmente fu un relax, un modo per spezzare la monotonia, divenne un’esigenza. Poi le lettere,i regali per il compleanno. Ora avrebbe sentito la sua voce. Le sei meno quattro… Una ragazza gli passò accanto e il tenente Croce trasalì. Portava un fiore ma non era la rosa rossa, come avevano stabilito. E poi dimostrava appena diciott’anni, mentre rosa d’Irlanda gli aveva detto di averne 30. “Che importa? – aveva risposto lui -, io ne ho 33”. Ne aveva 28. Non voleva rischiare di perderla, fosse stato anche per quei due stupidi e insignificanti anni. Voleva approfondire quel dolce, dolcissimo legame. Non aveva mai creduto che una donna potesse leggere nel cuore d’un uomo con tanta tenerezza e comprensione. Per quindici mesi era stata la sua fedele corrispondente. Ma lei aveva opposto un netto rifiuto a tutte le sue preghiere per avere una fotografia. Gliene aveva spiegato la ragione. “ Se c’è qualcosa di serio nel sentimento che hai per me, il mio aspetto non ha importanza. Supponi che io sia bella. Sarei sempre ossessionata dall’idea che hai puntato su questa possibilità e non sono alla ricerca di un amore del genere. Supponi che io non sia bella e allora rimarrei sempre col timore che hai continuato a scrivermi perché ti sentivi solo e non avevi nessun’ altra. Quando un giorno verrò in Sicilia a trovarti mi vedrai e deciderai”. Sembrava un evento così lontano e invece.. Un minuto alle sei… Il tenente Croce tirò una boccata nervosa dalla sigaretta. Poi il suo cuore dette un balzo. Una giovane donna veniva verso di lui. Era alta e snella, i capelli biondi ricadevano a riccioli dietro gli orecchi delicati. Aveva gli occhi azzurri come fiordalisi, le labbra e il mento modellati con dolce fermezza. Nel suo abito verde pallido sembrava l’incarnazione ella primavera. Il tenente Croce le andò incontro, dimenticando di notare che non aveva la rosa rossa; e al suo avvicinarsi un sorrisetto invitante increspò le labbra della ragazza. “ Sta venendo verso di me?”mormorò. Franco fece un altro passo verso di lei. E allora vide Rosa d’Irlanda. Era ferma dietro la ragazza, una donna ben oltre la quarantina con i capelli grigi ficcati sotto un vecchi cappello. Era più che grassoccia, calzava vecchie scarpe col tacco basso e aveva grosse caviglie. Ma portava una rosa rossa al risvolto del cappotto sgualcito. La ragazza dal vestito verde si allontanava in fretta. Franco ebbe l’impressione d’essere diviso in due, tanto forte era i desiderio di seguire la ragazza e pur tanto profondo il sentimento per la donna che con le doti suo spirito gli era stata davvero compagna e sostegno. Ora quella donna era lì. Vedeva che il viso pallido e rotondo era dolce e sensibile, negli occhi le brillava un caldo sorriso.
Il tenente Croce non esitò, strinse fra le dita la copia sgualcita di Schiavo d’amore (il libro regalatogli da lei per il suo compleanno), che doveva servigli per farsi riconoscere. Questo non sarebbe stato amore, ma qualcosa di prezioso, un’amicizia di cui era stato e doveva sempre essere grato… Raddrizzò le spalle, salutò militarmente e tese il libro verso la donna, sebbene mentre parlava sentisse l’amarezza ella delusione. “Sono il tenente Franco Croce e tu … tu devi essere Rosa d’Irlanda. Sono molto contento che tu sia venuta. Posso… posso invitarti a pranzo?” Il viso della donna s’allargò in un sorriso benevolo. “ non capisco davvero cosa stia accadendo” gli rispose. “Quella signorina vestita di verde mi ha pregato di mettermi questa rosa sul cappotto. E mi ha detto che se un tenente con un libro in mano mi avesse chiesto di andare con lui, avrei dovuto rispondergli che Rosa d’Irlanda l’aspettava in quel ristorante lì di fronte. Ha detto che questa era una sorta di prova”.

L’ultimo Pensiero

di Rovini Maurizio Pisa, Primo Classificato

Racconto duro, intenso. Tema: la pena di morte, che presenta un grosso inconveniente; se il condannato risulta, dopo la sentenza, innocente non può essere restituito alla vita. L’autore immagina le ultime ore, vissute con rabbia, di un innocente ingiustamente condannato. E nella veglia che precede la sua ultima alba, il condannato a morte chiede a Dio di poter rinascere non come uomo ma come cavallo parlante, per correre libero a raccontare l’inutilità e la profonda iniquità della pena capitale.

Sento la voce della mia disperazione, dell’angoscia che mi porto dentro. Di quel “vorrei” che tutti noi possediamo e che non osiamo mai ascoltare. Lasciare per una volta, una sola volta i cavalli liberi di correre nei prati della vita, lasciati con le criniere al vento, lasciati da soli. Vorrei correre come loro almeno una volta. Li guardo dalla finestra della mia prigione, una parete brulla di mattoni rotti che mi rode il fegato, che mi limita il pensiero oltre che il fisico. Eppure si deve pagare qualche prezzo nella vita, non c’è posto per chi sbaglia. In fondo è giusto. Non c’è sconto neppure per chi è innocente. Inutile averlo gridato a tutti, inutile aver proclamato la mia innocenza. Non ho ucciso mai nessuno, non mi sognerei mai di farlo, La mia colpa è stata solo di passare da lì nel momento sbagliato. Una donna pazza, un teste alcolizzato e una giuria in cerca di un colpevole. Tutto in un attimo e tutto finito. Non mi hanno voluto credere. Ed io impazzisco nel vedere la verde valle che ho davanti, come per toccarla, come accarezzare l’erba fresca del mattino, che cresce al dono della pioggia. Mille e mille giorni l’ ho guardata da lontano mille e mille sogni ho fatto davanti a questa finestra, davanti a questo vetro che è ormai l’unico amico mio. Se fossi libero vivrei ogni giorno da uomo felice, l’unico amico il Sole. Con il cuore libero di battere per la vita, per il domani ricco di futuro pregno di tutto quello che non ho adesso. Com’è brutto l’oggi se sappiamo che non ci sarà domani..
Sono stato lasciato da solo, fra queste pareti. Ho perduto tutto, famiglia, beni, affetti. Tutti mi hanno aiutato e poi abbandonato. La mia innocenza è naufragata nel nulla quotidiano, nel pensiero svanito di un decesso, di una mancanza grave da dimenticare in fretta. Questo sono io adesso. Un ricordo e basta.
Innocente, già! Siamo tutti innocenti qua dentro, non esiste uno solo che dica che è colpevole di qualcosa. La mia parola si perde tra le loro urla rabbiose e perisce. Anche la mia speranza, a poco a poco, è morta. La stanza che mi attende è l’unica liberazione, non soffrirò, mi hanno detto. Eppure, eppure… ho atteso anni di speranza invano. L’anima mia sa che non ho fatto nulla.
La rabbia mi travolge, mi avvinghia tutto nell’odio verso la giuria, verso il destino avverso, verso il fato che mi ha travolto. I volti dei giurati che avevo davanti sorridevano certi che una storia così a loro non sarebbe mai capitata mai, io stesso lo pensavo prima. Invece sono qua, ne lungo corridoio che porta alla stanza della morte, davanti alla splendida vetrata scura e guardo per l’ultima volta il mondo, la mia fetta del mondo che vedo. Il tuono reclama la mia attenzione,. Il fulmine saluta la mia esistenza con tutta la sua potenza.
Dio abbi pietà di me, perdonami per l’odio che porto contro questa gente cieca, ottusa, offuscata dalla vendetta. Fammi nascere ancora come un fulmine, dalla vita breve e intensa, rapida e potente. Non ci sarà più tempo per soffrire, per pensare, per farsi del male a piangere, ad imprecare per ogni momento perduto, in ogni attimo durante il quale la vita sfugge, durante il quale non si è vissuto. Sono nato al tramonto dove si osserva solo la fine della vita, la si intuisce ma non la si è vissuta. Fammi rinascere in un alba, magari dove gli uomini sono più saggi, dove capiscano che uccidere i propri fratelli è un errore, che comprendano che la giustizia vera è solo quella divina.
La mia rabbia mi ha devastato, la frustrazione dell’innocenza ha scavato la follia in me, stento a comprendere che tutto sta per finire, che tutto è scritto nei loro cuori, che la mia ora è scolpita nei loro volti, che Dio possa perdonarli per l’errore che fanno, io non lo posso fare.
Piove, piove forte. Il mio prato lontano si inchina al vento, ondeggia nel cielo scuro, dalle nubi nere, lo vedo bene. Per tanto tempo ho sperato di potermi sdraiare in quell’erba alta a guardare il cielo azzurro, come tutti noi, almeno una volta, speriamo di fare. Invece… la porta si apre e occhi si incrociano carichi di vendetta.
Sono innocente, urlo, ripeto, urlo di nuovo invano. Prima o poi qualcuno proverà quello che dico ma sono tutti sordi adesso, a loro non interessa se lo sono o no, vogliono un colpevole ora. Dio accoglimi bene, tu lo sai che non ho ucciso nessuno.
Fammi nascere come un cavallo, per poter correre per tutta la vita, correre sempre, ogni giorno sotto al Sole, imprendibile da quei pazzi che mi stanno uccidendo. Un cavallo, si, proprio un cavallo magari con il dono della parola per poter dire, a tutti quelli che incontrerò la mia storia, una delle molte della pena capitale; per poter giurare all’umanità intera che i soli assassini presenti in questa stanza erano soltanto loro, tutti coloro che avevo intorno.

Reversibilità

di La Rosa Giuseppe – Palermo, Terzo Classificato

Il tempo è come una musicassetta che si può riavvolgere e riascoltare. Il passare del tempo e delle stagioni, con i ritmi sempreterni della Natura non cancellano dall’animo umano la violenza che lo induce troppo spesso ad atti talvolta bestiali verso i propri simili.

Processioni di stagioni
memori di sapienze consunte
stanno negli interstizi inesplicabili
dello scorrere del tempo.
Il vuoto è una voragine di morte
attraversata dalla pallottola di un cecchino.
non ci sono trucchi,
hanno ucciso mio fratello
spogliandolo e squartandolo.
Hanno spappolato il cervello di mia sorella,
ma prima l’ hanno violentata nel sangue
e le hanno tagliato i seni scoprendo le costole.
Le rondini della primavera australe
si erano già svegliate nei nidi
e con un tuffo libero
rigavano, nere, l’aria fresca
del cielo d’Africa

Comparse

di Angelucci Sandro - Rieti, Secondo Classificato

Nel grande villaggio globale o sei competitivo o non conti nulla. Eppure il poeta sceglie di dare voce agli ultimi, a chi è schiacciato dai potenti, ai semplici e agli innocenti come i bambini e i vecchi che vengono considerati inutili, ma conservano nei loro occhi un patrimonio immenso, i ricordi.

Per chi subisce,
per gli ultimi,
per i perdenti io canto.
Per chi è costretto
a fare la comparsa
nella farsa
messa in scena dai potenti;
per gli umili,
per i più piccoli,
per i più semplici.

Io dedico i miei versi
a chi non conta,
a chi non si nasconde
tra i più forti.
Li dedico ai bambini
Che credono nei sogni.
Agli occhi dei più vecchi,
che sognano ricordi.

Kosovo 99

di Mario Giorgio – Caltanissetta, Primo Classificato

La guerra, con tutto il suo scenario di violenza e odio, è sempre un’esperienza terribile in qualsiasi epoca o in qualsiasi luogo. La morte e la distruzione hanno lo stesso tragico volto sia a Kukes, che a new York che a Kabul, e il dolore delle madri e dei bambini, non conosce differenza di razza, religione o nazionalità. Nonostante tutto la speranza di un futuro migliore veglia sempre fra le macerie delle violenze umane.

Si, lo so,
queste parole non fermeranno l’odio,
non fermeranno mani violente,
non daranno vita ai morti.
Ma cosa rimane se non pregarti, mio Dio…
Sono rimasto solo, Signore,
a gridare sulla strada di Pristina
invocando “Pace!”
mentre fioccano dal cielo tonnellate di morte.
E non arriva silenziosa,
con drappi neri e la falce in mano,
ma in aeroplano o con cingoli stridenti,
chiusa in ogive d’acciaio,
in spolette innescate,
nell’urlo delle madri,
nei volti spauriti dei bambini.
Allora,
dove sei, mio Signore..?
Nel campo di Kukes
L’oggi è al tramonto.
Ed un altro giorno
È passato…
Sono ancora vivo
E la speranza veglierà fra le tende,
un’altra notte…

L’Eco del tuo Canto

di Angelucci Sandro Rieti, Terzo Classificato

L’autore apre il suo componimento con l’immagine della luce che inonda la valle retina (valle importante nella vicenda terrena di San Francesco). Nel contesto di pace e serenità con la natura che lo circonda, l’autore sembra rivivere l’esperienza che l’assisiate fece in quei luoghi ottocento anni prima e sente che quel messaggio ancora oggi conserva tutta la sua forza e la Sua attualità.”
Domani,
quando il sole
si alzerà sul Terminillo
e l’alba
inonderà di luce
la mia terra,
anche domani
nel canto degli uccelli
avvertirò la gioia,
la forza
del Tuo Canto di speranza.
E quelle note,
quei versi
che nel duecento
Dio stesso ti detto
In questa valle

Anche domani,
nonostante tutto,
si sentiranno.
Perché Tu,
Tu ci sarai, Francesco,
sarai nell’aria.

San Francesco

di Cottone Antonio Palermo, Secondo Classificato

“L’autore immagina Francesco nella sua ascesa alla perfezione mistica, mentre - nel gesto purificatore della faccia lavata con i tre elementi terra, acqua aria - prende coscienza di se stesso, dei fratelli, e dell’amore di Dio.”
… e volle
la faccia lavata
con zolle di terra:
e conobbe
se stesso.

… e volle
la faccia lavata
con onde di mare
e conobbe
gli altri.

… e volle
la faccia lavata
con pezzi di cielo.
E conobbe
Il Paradiso

Buonanotte San Francesco

di Mazzucato Ludovica S. Martino di Venezze (Rovigo), Prima Classificata

“L’autrice con tono dimesso si accosta alla figura del Santo e, con Lui, alla vita e al mondo, cogliendone con semplicità gesti e sentimenti come solo i bambini e i poeti sanno fare.”

Noi cerchiamo l’onnipotenza nei vestiti firmati,
Ma tu ci hai dato l’esempio
Che l’unico vero capo originale è l’anima che ci ha donato Dio.
Così nella povertà di un saio sembri un re,
perché in te risplende la luce preziosa della fede.
Come un piccolo uccellino mi poso sulla tua mano
Per nutrirmi delle briciole della tua santità.
Fa che i miei occhi diventino grandi
Come quelle dei personaggi dei cartoon giapponesi,
perché tutto il creato mi stia nello sguardo:
in ogni filo d’erba c’è il pennello perfetto di nostro Padre.
Così questa sera, guardo la luna,
che sbircia curiosa dentro la tenda leggera,
e vedrò i suoi crateri trasformarsi in sorrisi.
Sul davanzale una lucciola mi manda il suo messaggio
In codice morse: la vita è amore!
Il buio amico mette nel suo album le emozioni della giornata
Mentre il mio respiro diventa una soave ninna nanna
E un canto di lode alla nuova alba.
Mando un bacino come mi ha insegnato la nonna,
alla tua statuina sul mio comodino:
buona notte S. Francesco.

05/10/01

Premio Agorà 2001

Sezione Poesia su San Francesco D'Assisi
Prima Classificata: Mazzucato Ludovica S. Martino di Venezze (Rovigo) con "Buonanotte San Francesco"
Secondo Classificato: Cottone Antonio Palermo con "San Francesco"
Terzo Classificato: Angelucci Sandro Rieti con "L’Eco del tuo Canto"

Sezione Poesia a tema libero
Primo Classificato: Mario Giorgio – Caltanissetta con "Kosovo 99"
Secondo Classificato: Angelucci Sandro - Rieti con "Comparse"
Terzo Classificato: La Rosa Giuseppe – Palermo con "Reversibilità"

Sezione Racconti
Primo Classificato: Rovini Maurizio Pisa con "L’ultimo Pensiero"
Seconda Classificata: Giacalone Elisa - Marsala (Trapani) con "Rosa d’Irlanda"
Terza Classificata: Vecchiotti Wilma – Pescara con "La Forma"

Sezione Poeti Augustani
Primo Classificato: Bramanti Carlo con "Haiku"



Rassegna Stampa

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Premio Xifonia 2001

Premiati: Lucia Sardo, Circolo Culturale Progetto Uomo

30/09/01

Parole in Libertà

Una festa riuscita la cerimonia di premiazione del Mini Premio Letterario “Parole in Libertà” svoltasi ad Augusta presso il Palazzo San Biagio Domenica 30 Settembre 2001 a cura l’Associazione Culturale Megarese, nell’ambito del Progetto”Augusta per i Giovani 2”, organizzato dal Forum Cittadino di Augusta con il contributo della Provincia Regionale di Siracusa, Assessorato Politiche Sociali.
Il Premio era rivolto ai ragazzi coinvolti nelle attività del progetto, che potevano partecipare con una poesia, mini racconto, fiaba ecc. della lunghezza massima di una pagina.
Lo scopo dell’iniziativa e quello di aiutare questi ragazzi, che in alcuni casi vengono da situazioni “difficili”, ad riuscire ad esprimere le loro idee, sogni, progetti, fantasie utilizzando la forma scritta. Alla fine del Progetto sono stati raggiunti considerevoli risultati di seguito pubblicati tra cui citiamo:
• le 20 opere presentate composte come poesie con una buona struttura sintattico-grammaticale,
• la qualità delle opere e più che soddisfacente segno che questi ragazzi sono ricchi di idee ed emozioni che riescono ad esprimere in una maniera semplice, scorrevole e piacevole;
• un buon uso del dialetto, segno che le radici linguistiche del territorio seppur contaminate, rimangono un bagaglio importante nella crescita dell’individuo;
La giuria , ha potuto scegliere “solamente “ 8 opere (ma tutte meritavano di essere lette) pubblicate di seguito.
In conclusione l’Associazione Culturale Megarese, non può che ritenersi soddisfatta di questa esperienza, che era cominciata come un sostegno ai ragazzi ad esprimersi, e si è tramutata in una occasione di crescita sociale e culturale e di scoperta di piccolo poeti in erba che nell’Era di Internet e degli SMS sono riusciti a rendere sempre viva l’antica arte della Poesia.
Di seguito trovate le opere partecipanti:

Da Grande Farò
Perchè Questo?
Il Tempo
L'Uccellino
L'Amore
Il Calcio
Il Tempo
Parole

Parole

Si parla di guerra
E di guerra passata,
il senso della vita
è volato nel vento.
C’è gente che pensa
Che la fine è vicina,
e invece che a vivere
impara a morire.
Se avessi rubini,
e ricchezze
e corone,
comprerei tutto il mondo
e comprerei ogni cosa.
Getterei tutti i fucili
e i carri armati nel mare,
perché non sono che errori
della storia passata.
Lasciatemi bere l’acqua
Dove i torrenti bagnano le montagne,
lasciate che il profumo e il bianco dei fiori
scorra libero attraverso il mio sangue.
Lasciatemi camminare lungo la strada
insieme al mio fratello,
in pace.



Simone Verde

Il Tempo

U piscatori u pisci friscu vinni
U finucchiaru a viddura vannia
Quanti cosi belle ci sunu o mircato
E sulu si hai denari i poi accattari.
E se dinari nu n’hai a fami fai.



Nicola Giustolisi

Il Calcio

Per me sei di colore grigio
come farei senza te
la domenica pomeriggio?
I giocatori si chiamano calciatori
e giocano con la furia dei gladiatori.
Il pallone và in rete,
e si deve buttare con il piede.
Con le mani non si può
Se no l’arbitro fischia il rigor.
Il calciatore per difendere
la sua porta deve fare di tutto,
pur col rischio di andar in lutto.
Finalmente il 90° si è fischiato,
e la partita il giocator ha terminato.
Il risultato non importa,
l’importante che fra i tifosi non c’è lotta.
Adesso la poesia è finita
Con la vittoria della squadra preferita.


Anonimo

L’Amore

Quante parole vuote
a volte pronunciamo.
Quanti gesti privi
di significato facciamo.
Quanti discorsi pieni
di orgoglio esprimiamo.
A tutto basterebbe
un po’ d’amore.
Amore per le parole.
Amore per i gesti.
Amore senza orgoglio.
Amore per tutti.




Ketty Russo

L’Uccellino

In cima ad un albero
C’e un uccellino di nuovo genere,
che sia un bambino?
Felice e libero saluta il sole
canta si arrampica,
fa quel che vuole,
ma inesorabile il tempo vola
le foglie cadono;
si torna a scuola.



Rosario Tringali

Il Tempo

E venne il tempo del dì più corto,
della notte più lunga,
del mare in tempesta,
e del maglione in più.
Ma dietro i vetri ripenso sempre
Al bel sole che ci fù


Denisè Micalef

Perché Questo?

Caro Gesù,
fa che la guerra non ci sia più
fa che la pace ritorni presto,
mostraci un tuo gesto.
Esaudisci questa preghiera,
per una pace vera.
E’ una ragazza che te lo chiede,
con amore
e senza pretese.


Valeria Giustolisi

Da Grande Farò

Da grande farò
un giardino di fiori
di trentasei colori.
Il pilota di un autobus
con le ruote a girandola.
Il fornaio , o il salumiere
per fare panini imbottiti.
Il prete di una chiesa
tutta di vetro.
L’avvocato dei Ladri
che rubano fiori.
Il vigile caw boy
a un incrocio di mucche.
Il maestro di nuoto
di delfini d’Argento.
Il santo delle vele,
che strappò il vento,
accompagnerò al mare
ogni piccolo fiume.

Mirko Spinali

22/04/01

Mostra l'isola d'Austa

Notevole successo ha riscosso la mostra “ L’Isola d’Austa, parole e immagini sul Centro Storico “ organizzata dall’Associazione Culturale Megarese nell’ambito della Manifestazione “Augusta in Arte..frammenti di storia arte e Cultura “ realizzata dal Forum Cittadino.
Numerose persone, infatti nei giorni 20 – 21 –22 Aprile hanno potuto ammirare le immagini e le foto esposte presso i locali del Centro Sociale Comandante Mario Guidi della Stella Maris Augusta, esprimendo la loro approvazione per questa iniziativa che vuole essere un atto d’amore verso la parte più antica della nostra città, facendo riscoprire immagini di scorci antichi (taluni ormai definitivamente scomparsi) accompagnate da poesie di poeti dialettali che hanno voluto esprimere i loro sentimenti più autentici verso il paese che li ha visti nascere e crescere.
L’Associazione Culturale Megarese, a conclusione di questa attività sente l’esigenza di rivolgere i più sentiti ringraziamenti a chi permesso questa mostra, in particolare ai Poeti Milino Gianino e Fortunato Armenio per alcune loro opere, al Signor Bottino Giuseppe per le fotografie degli anni 50–80, al dott. Capuano Giangaetano, e il Sig. Miduri Salvatore per le foto di Augusta contemporanea e al Prof. Garilli Giuseppe per alcune foto contemporanee e i due plastici esposti.
Infine un caloroso ringraziamento và alla Stella Maris Augusta, che sempre sensibile alle iniziative di valenza culturale ha gentilmente concesso i locali del Centro Sociale “Comandante Mario Guidi”