13/10/08

Premio Xifonia 2008

Premiati: Marcello Perracchio (video) e Mariella Arghiracopulos
Premio Speciale ACM: Gaetano Lembo (video)


Premio Agorà 2008

Sezione Poesia Tema Libero
1 Classificata Ho Preso in mano di Civello Palma – Palermo
2 Classificata Accenderò Fuochi di Sciandivasci Federica – Roma
3 Classificata Essere Braccato di Montacchiesi Mario – Roma

Sezione Racconti
Segnalazione Vox Populi di Canzonieri Giovanni – Reggio Emilia

Sezione I Conti Corti
Segnalazione Alla luce della Notte di Maddalena Roberta – Siracusa

Sezione Una Poesia in Musica
2 Classificata Aurora di Buffa Annalisa – Staranzano (Gorizia)
3 Classificata S. Vito Lo Capo di Caramagno Carmela, Castro Concetta, Fortunata Ilacqua – Augusta (Siracusa)

10/10/08

San Vito Lo Capo

III Classificata San Vito Lo Capo di Caramagno Carmela, Castro Concetta e Ilacqua Fortunata – Augusta

La musica semplice ed orecchiabile ruota intorno all’inciso melodico introduttivo che costituisce il vero leit-motive della composizione.
Il frammento, basato su una scala minore armonica, ben si adatta al testo poetico il quale, oltre a far sentire i profumi del non lontano Medio Oriente, regala alla composizione una certa freschezza.

Ho visto montagne sul mare
e il sole che vi si immergeva dentro
sul calar della sera
estinguendo lentamente il suo fuoco
nelle acque trapanesi.

Ho ammirato “l’uomo che dorme”
il suo muto profilo di pietra
gli scogli aguzzi
la sabbia bianca e sottile.
Acque cristalline
trasparenti meduse
ciottoli colorati
gabbiani in festa.

Ho visitato paesaggi sconosciuti
e luoghi familiari
una terra straniera e amica
mi son perduta nel contemplarla
ho smarrito la mia anima
disseminata tra quelle aspre bellezze
come polvere sollevata dal vento
ritrovandola più intera e infinita.

Ho reso grazie per essere nata qui
per avere sulla pelle
e sul volto
i segni e i colori della mia isola
e sentirmi tutt’uno con lei
quasi a riflettere come in uno specchio
tutto il suo calore e l’incantevole bellezza.

Aurora

2) Classificata Aurora di Buffa Annalisa – Staranzano (Gorizia)

La musica, seppur semplice, esalta senza mai prevaricare il testo poetico. L’essenzialità dell’orchestrazione (pianoforte ed archi) ben si adatta al clima poetico della composizione. Pur non avendo una “forma” ben definita, la musica riesce, specialmente nella parte centrale, a toccare lo stato d’animo dell’ascoltatore grazie ad una parte modulante che sembra condurlo verso mondi inesplorati.

Non ti svegliare.
Tutto è calmo, rarefatto;
un’unica lamina di luce
entra dalla finestra socchiusa,
per danzare solitaria.

Non puoi vedermi, ascoltarmi col cuore:
porti sul volto la serenità di sempre,
la delicatezza di una donna
ora sbocciata,
la forza di una vita unica.

Sii sempre capace di sorridere
per permettere all’anima di giocare;
sii capace di piangere
per poter volare più in alto.
Sii te stessa, lasciando alle spalle
Tutto ciò che non ha colore

Vivi, non fermarti,
corri libera, ama.
Un filo d’oro ci unisce,
un filo d’acciaio mi permette
di sentirti ovunque;
nei tuoi occhi trovo la certezza
di non essere vissuta invano.

Alla luce della notte

Segnalazione “Alla luce della notte” di Maddalena Roberta – Siracusa

Ho passato circa mezz’ora a fissare la mia immagine riflessa nello specchio del bagno… cercavo di trovare un particolare del mio aspetto che potesse attrarre l’attenzione di un uomo… c’è voluto del tempo anche per scegliere il vestito e per truccarmi. Alla fine ho indossato un abito colorato, stile anni ’70 e, tra le mollette che mi tiravano i capelli e i tacchi alti che torturavano le mie caviglie, mi sentivo sempre meno sicura di quest’uscita. Quando al suo squillo, mi tirai la porta di casa dietro le spalle cercai di rassicurare me stessa, ricordando che è solo un amico, che ci conosciamo da mesi e lui ha sottolineato sempre di volere solo amicizia.
Esco dal portone principale e nella fretta di riporre il cellulare nella borsetta non mi accorgo del gradino e inciampo. Mi aspetto rassegnata di finire rovinosamente per terra, invece mi ritrovo fra le sue braccia. Lui mi guarda e sorride, io imbarazzata cerco di ricompormi, ma finisco col rovesciare tutto il contenuto della borsetta ai suoi piedi. – Non ridere! – dico, senza riuscire a rimanere seria. – Scusa ma sai sempre come attirare la mia attenzione – risponde lui, dandomi un bacio sulla guancia.
Una volta in macchina, con la radio a farci da sottofondo, iniziamo a raccontarci la giornata appena trascorsa, mentre molto lentamente raggiungiamo gli amici già seduto ad aspettarci in un piccolo ristorante fuori città. E’ una notte molto calda, i vestiti tendono ad aderire alla pelle ad ogni minimo movimento del corpo, ma dal mare arriva una leggera brezza che solleva di tanto in tanto la tovaglia del tavolo attorno a cui siamo riuniti. Ad illuminare i nostri volti ci sono solo le luci delle candele alla citronella disposte un po’ ovunque sulla terrazza, stranamente deserta e silenziosa.
Spostando la sedia per proporre un brindisi quasi urto il cameriere con alcune delle nostre pizze tra le mani. Arrossisco e sembro essermi dimenticata il motivo per cui tengo alzato il boccale di birra rossa ghiacciata. – A tutti voi! _ ripeto un paio di volte. – Da quando siamo entrati gli uni nelle vite degli altri non mi sento più sola.. grazie ! – dico con più sicurezza, ad alta voce. Lui, seduto al mio fianco come sempre, mi sfiora un braccio in maniera non casuale per poi tornare a parlare con gli amici intono a noi. Restiamo seduti a mangiare, parlare, ridere per ore… la notte sembra diventare sempre più buia, il rumore del mare sempre più sordo, qualche candela si è già spenta, i contorni dei vostri volti diventano sempre meno definiti, mentre il tono delle voci rimane allegro, le conversazioni assumono sfumature un po’ piccanti e nessuno accenna ad alzarsi, a salutare, a congedarsi… senza curarci del tempo trascorso, senza curarci del mondo intorno a noi restiamo uniti, consapevoli e grati, nel calore di questa notte estiva.

Vox Populi

SEZIONE RACCONTI

Segnalazione Vox Populi
di Giovanni Canzoneri – Reggio Emilia

Ma La folle corsa di un’ambulanza e lo stripitiare della sirena, raccolse, sotto casa di don Ciccino Sciortino, un sessantenne vedovo, occhialuto e panzuto, una caterba di curiosi
1.‘NZOCCO CAPITO’ A DON CICCINO SCIORTINO
- Che successe- spiò la zà Rosina traumatizzata, nel vedere quella gran folla.
-U zù Ciccinu- rispose Nunzio Scelba lo scarparo.
-Muriu?- domandò prioccupata la zà Rosina.
-Vivu era, quannu u purtaru o spitali- ribattè lo scarparo.
-Allora chi fù…’nfartu?-.
-Ma quali ‘nfartu. A quantu pari, don Ciccinu stava canciannu’ na lamparina, acchianò’ ntò ’n vanchiteddu, firria ca ti firria, misi u peri mali e si ci svutò. Chista fu svutatina, ca u fici vulari ‘nterra comu’ nu piru maturu, facennu’nu gran bottu… comu ‘nu corpu di lupara-.
-Mischinazzu- esclamò la zà Rosina addolorata.
-Fortuna vosi, ca passavano di ddà le sue figlie Fina e Vita e ci dettiru ‘na manu d’aiutu-.
-E’ gravi?-.
-Forsi si rumpiu u femore-.
-Marunnuzza santa- terminò la za’ Rosina.
Il discorso fu attintati da mastro Giacuminu Lumia cà surdu pì com’era, mise insieme le poche parole c’avia arrinisciutu a sentiri e custruiu ‘nu discursu
2.‘NZOCCO CAPI’ (E CONTO’) MASTRO GIACUMINU LUMIA
-Ciccino Sciortino era a casa quando gli spararono due corpi di lupara. Il primo pigliò la lampadina della cammara da pranzo e l’altro diritto al femore-.
-Ma che mi dici?- domandò maravigghiatu Gino Provino.
-Tu giuru…..- arrispunniu mastru Giacuminu, continuando - … accumpagnaru o spìtali le sue due figlie…. è in fin di vita-.
-Michia!- terminò Gino Provino.
3.IL CARRICO DI GINO PROVINO
Gino Provino, era un vuccazzieri, parraciuni, e quando contava qualche fatto, allungava u sucu riempiendolo di minchiate e farfanterie varie. E in questa notizia ci mise la sua.
Arrivato a casa, posò, alla sanfasò la coppola e il pastrano nell’appendiabiti, e di prescia, eccitato dalla notizia fresca cà avia ‘ntisu, si mise a cercare sua moglie Angelina per contargli i fatti.
-Angelina, Angelì- vociava don Gino.
-Chi c’è! Picchì vucii!- esclamò irritata donna Angelina.
-Spararono due corpi di lupara a don Ciccino Sciortino … è in fin di vita-.
-Ma che mi stai contando? E chi può essere stato questo senza Dio che ci fece questo male a quell’omo bonu come u pani di Don Ciccino?-.
-E me l’ho domandi pure….- fici spertu Gino -… ‘ncà sicuramenti Ramunnu Rinella pì quistioni di limmiti..-.
4.IL CORTIGLIO DI DONNA ANGELINA
-Donna Sisidda, donna Sisidda!- vociava dal balcone donna Angelina.
-Chi c’è? Chi successi?- spiò priuccupata l’altra.
-Spararono a don Ciccinu Sciortino-.
- Oh! Santa Madri di Diu… - facendosi il segno della croce - … e cu fu, si sapi? -.
-’Ncà certu… io ci u dicu, però mi raccumannu-.
- Muta sugnu! -.
- Ramunnu Rinella - continuò in modo cospiratorio.
- Ma chi mi dici…. e picchì?-.
- A quantu pari, pì quistioni di limmiti dà campagna…. discursi di vint’anni fa -.
- Mah basta! - terminò donna Sisidda.
Il caso volle, che da lì passasse Saro Taddarita, disoccupato e confidenti di quistura. Ammucciatosi, attenta tutto il discorso e lo riferisce prontamente al commissario Biagio Cimabue

5.AL COMMISSARIATO
Il commissario Cimabue, un metro e ottanta di cristiano per novanta di peso, chiamato dai paesani u missicanu per il colorito olivastro della pelle, e i baffi alla village people o Ciars Bronsi, per la somiglianza, inverosimile, all’attore ‘miricano, e per i modi e l’aria da “giustiziere” che aveva. Dubitoso e pillicusu quanto mai, volle contato per l’ennesima volta il cortiglio di donna Angelina e donna Sisidda, con tutti i minimi dettagli. Saro Taddarita, con santa pasienza gliel’ho ricontò.
- Siamo sicuri ?- domandò il commissario, guardandolo fisso in volto.
- Sicurissimo - rispose il Taddarita.
- No, perché se no…-.
- Che fa minaccia - disse sorridendo il Taddarita, pensando fosse battuta di scherzo.
- No, era un semplice avvertimento - disse seriamente il commissario.
Il Taddarita, capito che non si trattava di babbiatina, si susiu di scatto dalla sedia e un po’ irritato si rivolse al commissario.
- Allora facciamo così…. facciamo finta che volevo babbiare… tutte minchiate erano, o meglio, poiché lei dubita, facciamo finta che non le ho contato niente. Però questa è stata l’ultima volta-.
- E che farà - disse ironicamente il commissario.
- Semplice…..- rispose sorridendo - ….passerò alla concorrenza -.
La concorrenza. Se l’era giocata bene la carta, il Taddarita, sapeva benissimo che il commissario aveva un’allergia verso i carabinieri, o come li chiamava il commissario stesso, i becchini col il fuoco fatuo in testa, e se li avesse solo pronunciati fosse stata nà mala sirata.
- Senta…..- riprese il commissario col tono amichevole - …. si sieda c’è stato un malinteso-.
-Quante volte abbiamo travagghiatu insieme e ci abbiamo sempre ‘nzirtatu -.
- Tante volte - rispose tistiannu il commissario.
- Ora se lei ha, chiamamulu così, un dubbio, telefoni in ospedale, e chieda se oggi hanno ricoverato un certo Francesco Sciortino. Però mi raccomando discrezione, eviti di dire che è commissario, non si sa mai, dica che è un amico o meglio ancora un parente -.
- Ragione hai! -.
Alzata la cornetta digitò il numero dello spitale e dall’altro capo gli rispose una voce abbuttata.
- Pronto…. qui è lo spitale Sacro Cuore di Gesù…desidera -.
- Salve sono Salvo Sciortino il nipote di don Ciccino Sciortino, mio zio è ricoverato lì da voi? -.
- Era ricoverato….. - rispose l’infermiere - …ma…-.
- Grazie, buona sera - interruppe bruscamente il commissario.
- Che ci dissero - domandò incuriosito il Taddarita.
- Minchia Sarù, muriu - disse il commissario scosso.
- Matruzza Santa - terminò il Taddarita.
Chiamato l’agente scelto Fausto Borlotti, e presa l’auto di servizio, si misero alla ricerca del Rinella.
- Cerchiamo questo Raimondo Rinella…. - pensava tra se e se, taliando una foto che gli aveva procurato il Taddarita - e quando lo trovo, ci fazzu fari la fine che facevano i turchi alla corte di conte Vlad III -.
Il conte Vlad III, ‘ntisu nel suo paese Dracula, durante le varie guerre contro i nemici di Dio, dopo averli fatti prigionieri l’impalava e li metteva in bella mostra. In sostanza il commissario, usò questo paragone, alquanto macabro, esprimendo così il desiderio di incularsi il Rinella.

6.ALLO SPITALE SACRO CUORE DI GESU’
- Mah! - mormoriava l’infermiere Nicola Balistreri.
- Chi c’è Nicò? - domandò il collega Santino Prestigiacomo.
- Chi c’è! C’è ca a genti è vastasa -.
- Di ‘nzoccu stai parrannu -.
- Ora tu cuntu. M’avia appinnicatu cincu minuti quannu, arrivò ‘na telefonata. Era u niputi di don Ciccino Sciortino…. qello che abbiamo dimesso mezz’orata fa… -.
- Ma di cu stai parranno -.
- U vicchiareddu.. quello della distorsione alla caviglia e i tri punta ‘ntò supracigghiu -.
- Nnì passanu tanti vicchiareddi -.
- Vabbè… comunque, ci stavu cuntannu pì filu e pì signu comu eru i fatti, quando mi bloccò, e mi disse grazie bonasira. Non s’interessò pì nenti comu stava so ziu, ma chi razza di cristianu è?-.
- Nicò… - disse sorridendo Santino - il tuo problema lo sai qual’è? -.
- Qual’è? - spiò Nicola.
- Ca tu ti apprechi a ogni piccola fissaria -.
- Minchia arraggiuni hai. I purtasti i carti? -.
- ‘Nca per ciò. E puru nà bedda buttigghia i rusoliu alle mandorle -.
- E bravu Santino - terminò Nicola.


7.RAMUNNU RINELLA
Ramunnu Rinella, era un tipo smilzo, scuru di occhi, capiddi rizzi e du mustazzi alla tartara. Aveva avuto dei piccoli precedenti penali, nella “beata giovinezza” come diceva lui, ricordandola con nostalgia, ogni qual volta che lo fermavano per controllo, scanciandolo per uno ‘stracumunitariu.
Stava sorseggiando un amaro al bar Isola Bella, quando la volante arrivò a sirene spiegate.
- Viremu cu è u furtunatu - disse ironizzando Ramunnu.
Alcuni dei presenti, per un sì o per un no, s’iccaru latitanti.
Sceso dall’auto, il commissario s’ apprisintò davanti al Rinella, e taliannulu ‘ntà l’occhi.
- E lei Rinella Raimondo? -.
- Sissignore, desidera? -.
- Ci deve seguire in commissariato -.
- Di cosa si tratta? - maravigghiatu, nel sapere che il “fortunato” era lui.
- Cosa dilicata è, meglio se ne parliamo a quattrocchi - .
- Comu voli lei-.
- Allora sig. Rinella dove si trovava questa mattina intorno alle dieci? -.
- In campagna - rispose Rinella.
- A fare? -.
- A zappare, concimare, potare e….. -.
- Va bene ho capito. Era da solo? -.
- Megghiu sulu ca mali accumpagnatu - rispose il Rinella.
- Sig. Rinella, mi dica la verità, non mi faccia arrivare ad azioni estreme -.
- Ma che fa è uno scherzo? - domandò il Rinella.
- Qui non si scherza. Dica la verità, è stato lei a uccidere don Ciccino Sciortino? -.
- Ma che minchia sta dicendo? - rispose tuttu ‘ncazzatu.
- Continua a fare teatro -.
- se qui c’è uno ca fa tiatru chistu è lei -.
- Bene - terminò il commissario.

8.I FATTI DEL GIORNO APPRESSO
Di prima mattina, Raimondo Rinella, accompagnato dall’avvocato Vincenzo Aragonini, s’appresentò alla caserma dei carabinieri, con in mano il referto medico rilasciato la notte prima dal dott. Antonio Bevilacqua, medico chirurgo all’ospedale Sacro Cuore di Gesù, per esporre denuncia di maltrattamenti, abuso di potere e calunnia, verso il commissario Biagio Cimabue.
Sentita la notizia, il capitano telefonò al maggiore che riferì tutto al tenente colonnello che comunicò al colonnello Carlo Giannettino.
Il colonnello era praticamente “ateo” politicamente parlando, la politica (e i politici) non la digeriva. Per lui, era come un peso, un carrico nello stomaco, da rimuovere immediatamente.
Quando certe volte, s’incontrava col questore, o con il p.m. Gian Maria Lo Verso (mai tutti e due contemporaneamente, pì carità ), il primo russu comu ‘a paparina, a l’auutru nivuru comu ‘a pici (politicamente parlando, si capisce ), si ci smuoveva un malo di panza. Si parlava, sempre, delle belle cose che avia fatto la sinistra e di quelle grandi che avia fatto la destra, mai delle male cose, e lui ascutava, assuppava e pensava - Avi arrivari un jornu cà vi fazzu cacari a panella -. E quel giorno, per qualcuno arrivò.
- Ma che mi dici - disse il colonnello.
-’nca, che le dico.. qui c’è tutta la documentazione -.
‘Ncuminciò a leggere con attenzione, tutti i minimi particolari. Di colpo, si ‘ntisi le gambe che gli facevano giacomo giacomo, s’assittò nella poltrona, posò la documentazione sulla scrivania, appresso si tolse il copricapo, e portandosi le mani in testa cominciò a grattarsi nevroticamente, in seguito prese la cornetta ci alitò sopra, e la lucidò a dovere sulla manica della giubba, e con un sorriso stampato sul volto telefono al questore.
- Pronto! Il questore Alfonzo Calamonieri? - domandò il colonnello.
- Sì, desidera -.
- Salve sono il colonnello Carlo Giannettino -.
- Oh! A cosa devo questa telefonata -.
- La chiamavo per congratularmi con lei, per i metodi poco ortodossi, che i suoi uomini usano…. Certo non faccio di tutta un’erba un fascio, ma! -.
- Colonnello! Non la permetto di infangare con delle fandonie, i miei uomini -continuò annirbato il questore.
- Fandonie? No caro questore, questa ahimé, è tutta verità… mi premurerò a mandarle via fax tutta la documentazione . Spero che lei prenda i dovuti provvedimenti, perché per conto mio, li ho già presi -.
Nello stesso istante, tuppulianu alla porta del commissario.
- Chi è? - domandò il commissario.
- Carabinieri -.
Il commissario preso da un attacco pruriginoso in corpo domandò tuttu ‘ncazzatu - e che minchia volete? -.
- Ma che mangiò bollito sta mattina commissà - ribattè il maresciallo Tuminello.
Irritato, il commissario, aperta la porta, si vede consegnare un invito il quale diceva: “ Egr. commissario Biagio Cimabue, la invito oggi stesso, alle ore 18:30 in caserma per questioni che la riguardano. Con osservanza, il colonnello Carlo Giannettino”.
- E che minchia poteva volere il colonnello? -si domandò il commissario.
La risposta gli fu data cinque minuti dopo dal questore ca ci telefonò tuttu ‘ncazzatu dicendogli di presentarsi di cursa. Il commissario fu sospeso momentaneamente dal suo incarico e pì l’occasione decise di farisi na bedda villeggiatura a San Vito lo Capo pì rilassarisi.
Ma, prima di partire aveva un appuntamento cui non poteva rinunciare.
Il Taddarita, dopo aver appurato che lo Sciortino era vivo e vegeto, scantato dalla reazione che poteva avere il commissario, decise di canciare aria. Presa la valigia, si avviò di prescia verso la stazione, voltato vicolo degli scarpari una voce lo chiamò.
Erano le 22 e 45 quando l’ambulanza arriva a sirene spiegate al Sacro Cuore di Gesù. La porta dello spitale si aprì con violenza, al contatto con la barella ca java di prescia, direzione sala operatoria, su di essa un povero Cristo chinu di sangu che ansimava.
- Chi fu, incidente - spiò l’infermiere Nicola Balistreri , mentre gli dava i primi soccorsi.
- ma quali incidente, u capuliaru - rispose il portantino.
- Minchia - terminò il Balestrieri.
Reparto ortopedia, stanza 71, posto letto 17. Il referto medico diceva:
“Vaste ecchimosi in tutto il corpo, ampio laceramento nell’area frontale, danno all’apparato uditivo destro reversibile, escoriazione labbro superiore, ferita lacero contusa alla gamba destra e cresta tibiale destra, frattura ossa nasali, frattura doppia di mandibola e condilo sinistri, frattura zigomatica destra, lesione della quinta e sesta costola, trauma cranico e testicolare destro…. Prognosi riservata”.
- Minchia è cumminatu mali! Ma cu è?- spiò l’infermiere Santino Prestigiacomo.
- Saro Taddarita - rispose il collega Nicola Balistreri.
- ‘Nzà cu fu?- disse Santino.
- ‘Ncà cu fu, può essere stato chiunque, vista la fama che aveva… per combinazione, oggi è uscito dalla galera Turiddu Scaduto…ù Polifemo, non voglio parlare assai, però? -.
- Mah! Vedi che combinazione -terminò Santino.

Essere braccato

IIIClassificato Essere braccato di Montacchiesi Mario - Roma

Il tempo passa inesorabilmente e tiene sotto tiro l’uomo, sia nel ricordo del passato che nella proiezione di un futuro scandito da precari traguardi sempre da superare. Due binari che corrono affiancati senza mai incontrarsi rappresentano il “doppio”, il paradossale simbolo di una vita che solo Ecate Triformis, la dea ferina degl’inferi che rappresenta la donna nelle sue tre diverse età, può salvare attraverso la poesia.
Per aver rappresentato, attraverso l’efficace utilizzo della figura retorica dell’ossimoro, l’inquietudine e la contraddittorietà che caratterizzano la vita del poeta.

Essere braccato
dalle lancette ritmiche del pendolo
pochi molti minuti secondi
labili eterni
marcia a ritroso nel tempo
mai statica
traguardo in perpetuo movimento
paradosso di due binari
che non s’incontreranno mai
simboli di una vita
Che gli occhi di Ecate ancora riflettono
nel lago delle poesie clandestine

Accenderò Fuochi

II Classificata - Accenderò Fuochi di Sciandivasci Federica - Roma

Attraverso un rituale quasi magico, l’individuo riesce a liberarsi dalle convenzioni e dalle mistificazioni della vita ed a riacquistare il proprio posto tra gli esseri umani.
Per aver descritto il percorso doloroso di colui che vuole riappropriarsi della propria umanità dandole un nuovo senso.

Accenderò Fuochi nella notte
e vi getterò frustrazioni e rimpianti.
A tener vive le braci vi soffierò sopra
con aliti di menzogna
rovesciando – fra lingue di fuoco –
abiti d’ipocrisia.

Illuminerò la notte
con scintille di follia
e…. danzando
i miei piedi nudi
solleveranno sabbia
sui miei turbamenti
mascherati da ambigua ironia.

Scioglierò nel fuoco
le lacrime della rabbia
bruciando sogni
plasmati nell’irrazionalità
per infine rinascere come fenice
da queste ceneri dolentie
dare un senso
alla mia ritrovata umanità

Ho preso in mano

I Classificata Ho preso in mano di Civello Palma – Palermo

Tornare a vivere, tornare a scrivere. Ecco cosa muove il poeta verso la rinascita, verso la voglia di ricominciare muovendo da se stesso.
Per aver rappresentato il percorso di speranza e di rinnovamento di chi vuole restituire vigore alla propria dimensione poetica.

Ho preso in mano una spugna
per cancellare la polvere dalla mia mente,
l’ho stretta forte perché non cadesse
a sporcare la mia pelle;
ho preso in mano le ferite del mio cuore,
le ho ricucite perché così risanate
smettano di dolere;
ho preso in mano le speranze
e le ho abbracciate ai miei sogni:
insieme hanno promesso
che tornerò a sorridere.
Ho preso in mano i miei rimpianti
E li ho frantumati in briciole colorate:
finalmente posso scrivere ancora.

20/01/08

Benvenuti
L'Associazione Culturale Megarese ha il piacere di accogliervi nella sua nuova sede virtuale.
Questo nuovo sito oltre ad avere un nuova veste grafica, si arricchirà successivamente di nuovi contenuti, segno della nostra volontà di volere sempre crescere in campo culturale.
Un grazie particolare vogliamo rivolgerlo ad Andrea Cimino, nostro nuovo addetto stampa e curatore di questo sito.
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