10/10/08

Vox Populi

SEZIONE RACCONTI

Segnalazione Vox Populi
di Giovanni Canzoneri – Reggio Emilia

Ma La folle corsa di un’ambulanza e lo stripitiare della sirena, raccolse, sotto casa di don Ciccino Sciortino, un sessantenne vedovo, occhialuto e panzuto, una caterba di curiosi
1.‘NZOCCO CAPITO’ A DON CICCINO SCIORTINO
- Che successe- spiò la zà Rosina traumatizzata, nel vedere quella gran folla.
-U zù Ciccinu- rispose Nunzio Scelba lo scarparo.
-Muriu?- domandò prioccupata la zà Rosina.
-Vivu era, quannu u purtaru o spitali- ribattè lo scarparo.
-Allora chi fù…’nfartu?-.
-Ma quali ‘nfartu. A quantu pari, don Ciccinu stava canciannu’ na lamparina, acchianò’ ntò ’n vanchiteddu, firria ca ti firria, misi u peri mali e si ci svutò. Chista fu svutatina, ca u fici vulari ‘nterra comu’ nu piru maturu, facennu’nu gran bottu… comu ‘nu corpu di lupara-.
-Mischinazzu- esclamò la zà Rosina addolorata.
-Fortuna vosi, ca passavano di ddà le sue figlie Fina e Vita e ci dettiru ‘na manu d’aiutu-.
-E’ gravi?-.
-Forsi si rumpiu u femore-.
-Marunnuzza santa- terminò la za’ Rosina.
Il discorso fu attintati da mastro Giacuminu Lumia cà surdu pì com’era, mise insieme le poche parole c’avia arrinisciutu a sentiri e custruiu ‘nu discursu
2.‘NZOCCO CAPI’ (E CONTO’) MASTRO GIACUMINU LUMIA
-Ciccino Sciortino era a casa quando gli spararono due corpi di lupara. Il primo pigliò la lampadina della cammara da pranzo e l’altro diritto al femore-.
-Ma che mi dici?- domandò maravigghiatu Gino Provino.
-Tu giuru…..- arrispunniu mastru Giacuminu, continuando - … accumpagnaru o spìtali le sue due figlie…. è in fin di vita-.
-Michia!- terminò Gino Provino.
3.IL CARRICO DI GINO PROVINO
Gino Provino, era un vuccazzieri, parraciuni, e quando contava qualche fatto, allungava u sucu riempiendolo di minchiate e farfanterie varie. E in questa notizia ci mise la sua.
Arrivato a casa, posò, alla sanfasò la coppola e il pastrano nell’appendiabiti, e di prescia, eccitato dalla notizia fresca cà avia ‘ntisu, si mise a cercare sua moglie Angelina per contargli i fatti.
-Angelina, Angelì- vociava don Gino.
-Chi c’è! Picchì vucii!- esclamò irritata donna Angelina.
-Spararono due corpi di lupara a don Ciccino Sciortino … è in fin di vita-.
-Ma che mi stai contando? E chi può essere stato questo senza Dio che ci fece questo male a quell’omo bonu come u pani di Don Ciccino?-.
-E me l’ho domandi pure….- fici spertu Gino -… ‘ncà sicuramenti Ramunnu Rinella pì quistioni di limmiti..-.
4.IL CORTIGLIO DI DONNA ANGELINA
-Donna Sisidda, donna Sisidda!- vociava dal balcone donna Angelina.
-Chi c’è? Chi successi?- spiò priuccupata l’altra.
-Spararono a don Ciccinu Sciortino-.
- Oh! Santa Madri di Diu… - facendosi il segno della croce - … e cu fu, si sapi? -.
-’Ncà certu… io ci u dicu, però mi raccumannu-.
- Muta sugnu! -.
- Ramunnu Rinella - continuò in modo cospiratorio.
- Ma chi mi dici…. e picchì?-.
- A quantu pari, pì quistioni di limmiti dà campagna…. discursi di vint’anni fa -.
- Mah basta! - terminò donna Sisidda.
Il caso volle, che da lì passasse Saro Taddarita, disoccupato e confidenti di quistura. Ammucciatosi, attenta tutto il discorso e lo riferisce prontamente al commissario Biagio Cimabue

5.AL COMMISSARIATO
Il commissario Cimabue, un metro e ottanta di cristiano per novanta di peso, chiamato dai paesani u missicanu per il colorito olivastro della pelle, e i baffi alla village people o Ciars Bronsi, per la somiglianza, inverosimile, all’attore ‘miricano, e per i modi e l’aria da “giustiziere” che aveva. Dubitoso e pillicusu quanto mai, volle contato per l’ennesima volta il cortiglio di donna Angelina e donna Sisidda, con tutti i minimi dettagli. Saro Taddarita, con santa pasienza gliel’ho ricontò.
- Siamo sicuri ?- domandò il commissario, guardandolo fisso in volto.
- Sicurissimo - rispose il Taddarita.
- No, perché se no…-.
- Che fa minaccia - disse sorridendo il Taddarita, pensando fosse battuta di scherzo.
- No, era un semplice avvertimento - disse seriamente il commissario.
Il Taddarita, capito che non si trattava di babbiatina, si susiu di scatto dalla sedia e un po’ irritato si rivolse al commissario.
- Allora facciamo così…. facciamo finta che volevo babbiare… tutte minchiate erano, o meglio, poiché lei dubita, facciamo finta che non le ho contato niente. Però questa è stata l’ultima volta-.
- E che farà - disse ironicamente il commissario.
- Semplice…..- rispose sorridendo - ….passerò alla concorrenza -.
La concorrenza. Se l’era giocata bene la carta, il Taddarita, sapeva benissimo che il commissario aveva un’allergia verso i carabinieri, o come li chiamava il commissario stesso, i becchini col il fuoco fatuo in testa, e se li avesse solo pronunciati fosse stata nà mala sirata.
- Senta…..- riprese il commissario col tono amichevole - …. si sieda c’è stato un malinteso-.
-Quante volte abbiamo travagghiatu insieme e ci abbiamo sempre ‘nzirtatu -.
- Tante volte - rispose tistiannu il commissario.
- Ora se lei ha, chiamamulu così, un dubbio, telefoni in ospedale, e chieda se oggi hanno ricoverato un certo Francesco Sciortino. Però mi raccomando discrezione, eviti di dire che è commissario, non si sa mai, dica che è un amico o meglio ancora un parente -.
- Ragione hai! -.
Alzata la cornetta digitò il numero dello spitale e dall’altro capo gli rispose una voce abbuttata.
- Pronto…. qui è lo spitale Sacro Cuore di Gesù…desidera -.
- Salve sono Salvo Sciortino il nipote di don Ciccino Sciortino, mio zio è ricoverato lì da voi? -.
- Era ricoverato….. - rispose l’infermiere - …ma…-.
- Grazie, buona sera - interruppe bruscamente il commissario.
- Che ci dissero - domandò incuriosito il Taddarita.
- Minchia Sarù, muriu - disse il commissario scosso.
- Matruzza Santa - terminò il Taddarita.
Chiamato l’agente scelto Fausto Borlotti, e presa l’auto di servizio, si misero alla ricerca del Rinella.
- Cerchiamo questo Raimondo Rinella…. - pensava tra se e se, taliando una foto che gli aveva procurato il Taddarita - e quando lo trovo, ci fazzu fari la fine che facevano i turchi alla corte di conte Vlad III -.
Il conte Vlad III, ‘ntisu nel suo paese Dracula, durante le varie guerre contro i nemici di Dio, dopo averli fatti prigionieri l’impalava e li metteva in bella mostra. In sostanza il commissario, usò questo paragone, alquanto macabro, esprimendo così il desiderio di incularsi il Rinella.

6.ALLO SPITALE SACRO CUORE DI GESU’
- Mah! - mormoriava l’infermiere Nicola Balistreri.
- Chi c’è Nicò? - domandò il collega Santino Prestigiacomo.
- Chi c’è! C’è ca a genti è vastasa -.
- Di ‘nzoccu stai parrannu -.
- Ora tu cuntu. M’avia appinnicatu cincu minuti quannu, arrivò ‘na telefonata. Era u niputi di don Ciccino Sciortino…. qello che abbiamo dimesso mezz’orata fa… -.
- Ma di cu stai parranno -.
- U vicchiareddu.. quello della distorsione alla caviglia e i tri punta ‘ntò supracigghiu -.
- Nnì passanu tanti vicchiareddi -.
- Vabbè… comunque, ci stavu cuntannu pì filu e pì signu comu eru i fatti, quando mi bloccò, e mi disse grazie bonasira. Non s’interessò pì nenti comu stava so ziu, ma chi razza di cristianu è?-.
- Nicò… - disse sorridendo Santino - il tuo problema lo sai qual’è? -.
- Qual’è? - spiò Nicola.
- Ca tu ti apprechi a ogni piccola fissaria -.
- Minchia arraggiuni hai. I purtasti i carti? -.
- ‘Nca per ciò. E puru nà bedda buttigghia i rusoliu alle mandorle -.
- E bravu Santino - terminò Nicola.


7.RAMUNNU RINELLA
Ramunnu Rinella, era un tipo smilzo, scuru di occhi, capiddi rizzi e du mustazzi alla tartara. Aveva avuto dei piccoli precedenti penali, nella “beata giovinezza” come diceva lui, ricordandola con nostalgia, ogni qual volta che lo fermavano per controllo, scanciandolo per uno ‘stracumunitariu.
Stava sorseggiando un amaro al bar Isola Bella, quando la volante arrivò a sirene spiegate.
- Viremu cu è u furtunatu - disse ironizzando Ramunnu.
Alcuni dei presenti, per un sì o per un no, s’iccaru latitanti.
Sceso dall’auto, il commissario s’ apprisintò davanti al Rinella, e taliannulu ‘ntà l’occhi.
- E lei Rinella Raimondo? -.
- Sissignore, desidera? -.
- Ci deve seguire in commissariato -.
- Di cosa si tratta? - maravigghiatu, nel sapere che il “fortunato” era lui.
- Cosa dilicata è, meglio se ne parliamo a quattrocchi - .
- Comu voli lei-.
- Allora sig. Rinella dove si trovava questa mattina intorno alle dieci? -.
- In campagna - rispose Rinella.
- A fare? -.
- A zappare, concimare, potare e….. -.
- Va bene ho capito. Era da solo? -.
- Megghiu sulu ca mali accumpagnatu - rispose il Rinella.
- Sig. Rinella, mi dica la verità, non mi faccia arrivare ad azioni estreme -.
- Ma che fa è uno scherzo? - domandò il Rinella.
- Qui non si scherza. Dica la verità, è stato lei a uccidere don Ciccino Sciortino? -.
- Ma che minchia sta dicendo? - rispose tuttu ‘ncazzatu.
- Continua a fare teatro -.
- se qui c’è uno ca fa tiatru chistu è lei -.
- Bene - terminò il commissario.

8.I FATTI DEL GIORNO APPRESSO
Di prima mattina, Raimondo Rinella, accompagnato dall’avvocato Vincenzo Aragonini, s’appresentò alla caserma dei carabinieri, con in mano il referto medico rilasciato la notte prima dal dott. Antonio Bevilacqua, medico chirurgo all’ospedale Sacro Cuore di Gesù, per esporre denuncia di maltrattamenti, abuso di potere e calunnia, verso il commissario Biagio Cimabue.
Sentita la notizia, il capitano telefonò al maggiore che riferì tutto al tenente colonnello che comunicò al colonnello Carlo Giannettino.
Il colonnello era praticamente “ateo” politicamente parlando, la politica (e i politici) non la digeriva. Per lui, era come un peso, un carrico nello stomaco, da rimuovere immediatamente.
Quando certe volte, s’incontrava col questore, o con il p.m. Gian Maria Lo Verso (mai tutti e due contemporaneamente, pì carità ), il primo russu comu ‘a paparina, a l’auutru nivuru comu ‘a pici (politicamente parlando, si capisce ), si ci smuoveva un malo di panza. Si parlava, sempre, delle belle cose che avia fatto la sinistra e di quelle grandi che avia fatto la destra, mai delle male cose, e lui ascutava, assuppava e pensava - Avi arrivari un jornu cà vi fazzu cacari a panella -. E quel giorno, per qualcuno arrivò.
- Ma che mi dici - disse il colonnello.
-’nca, che le dico.. qui c’è tutta la documentazione -.
‘Ncuminciò a leggere con attenzione, tutti i minimi particolari. Di colpo, si ‘ntisi le gambe che gli facevano giacomo giacomo, s’assittò nella poltrona, posò la documentazione sulla scrivania, appresso si tolse il copricapo, e portandosi le mani in testa cominciò a grattarsi nevroticamente, in seguito prese la cornetta ci alitò sopra, e la lucidò a dovere sulla manica della giubba, e con un sorriso stampato sul volto telefono al questore.
- Pronto! Il questore Alfonzo Calamonieri? - domandò il colonnello.
- Sì, desidera -.
- Salve sono il colonnello Carlo Giannettino -.
- Oh! A cosa devo questa telefonata -.
- La chiamavo per congratularmi con lei, per i metodi poco ortodossi, che i suoi uomini usano…. Certo non faccio di tutta un’erba un fascio, ma! -.
- Colonnello! Non la permetto di infangare con delle fandonie, i miei uomini -continuò annirbato il questore.
- Fandonie? No caro questore, questa ahimé, è tutta verità… mi premurerò a mandarle via fax tutta la documentazione . Spero che lei prenda i dovuti provvedimenti, perché per conto mio, li ho già presi -.
Nello stesso istante, tuppulianu alla porta del commissario.
- Chi è? - domandò il commissario.
- Carabinieri -.
Il commissario preso da un attacco pruriginoso in corpo domandò tuttu ‘ncazzatu - e che minchia volete? -.
- Ma che mangiò bollito sta mattina commissà - ribattè il maresciallo Tuminello.
Irritato, il commissario, aperta la porta, si vede consegnare un invito il quale diceva: “ Egr. commissario Biagio Cimabue, la invito oggi stesso, alle ore 18:30 in caserma per questioni che la riguardano. Con osservanza, il colonnello Carlo Giannettino”.
- E che minchia poteva volere il colonnello? -si domandò il commissario.
La risposta gli fu data cinque minuti dopo dal questore ca ci telefonò tuttu ‘ncazzatu dicendogli di presentarsi di cursa. Il commissario fu sospeso momentaneamente dal suo incarico e pì l’occasione decise di farisi na bedda villeggiatura a San Vito lo Capo pì rilassarisi.
Ma, prima di partire aveva un appuntamento cui non poteva rinunciare.
Il Taddarita, dopo aver appurato che lo Sciortino era vivo e vegeto, scantato dalla reazione che poteva avere il commissario, decise di canciare aria. Presa la valigia, si avviò di prescia verso la stazione, voltato vicolo degli scarpari una voce lo chiamò.
Erano le 22 e 45 quando l’ambulanza arriva a sirene spiegate al Sacro Cuore di Gesù. La porta dello spitale si aprì con violenza, al contatto con la barella ca java di prescia, direzione sala operatoria, su di essa un povero Cristo chinu di sangu che ansimava.
- Chi fu, incidente - spiò l’infermiere Nicola Balistreri , mentre gli dava i primi soccorsi.
- ma quali incidente, u capuliaru - rispose il portantino.
- Minchia - terminò il Balestrieri.
Reparto ortopedia, stanza 71, posto letto 17. Il referto medico diceva:
“Vaste ecchimosi in tutto il corpo, ampio laceramento nell’area frontale, danno all’apparato uditivo destro reversibile, escoriazione labbro superiore, ferita lacero contusa alla gamba destra e cresta tibiale destra, frattura ossa nasali, frattura doppia di mandibola e condilo sinistri, frattura zigomatica destra, lesione della quinta e sesta costola, trauma cranico e testicolare destro…. Prognosi riservata”.
- Minchia è cumminatu mali! Ma cu è?- spiò l’infermiere Santino Prestigiacomo.
- Saro Taddarita - rispose il collega Nicola Balistreri.
- ‘Nzà cu fu?- disse Santino.
- ‘Ncà cu fu, può essere stato chiunque, vista la fama che aveva… per combinazione, oggi è uscito dalla galera Turiddu Scaduto…ù Polifemo, non voglio parlare assai, però? -.
- Mah! Vedi che combinazione -terminò Santino.

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