24/10/07

Statuto

COSTITUZIONE – SEDE – DURATA – SCOPI
Art. 1- E’ costituita, con sede in Augusta un Associazione Culturale avente la seguente denominazione “ Associazione Culturale Megarese”.
Art. 2 - L’Associazione senza fine di lucro si propone di organizzare e promuovere attività culturali sul territorio con i seguenti scopi:
- Valorizzare le risorse culturali del territorio;
- Creare un collegamento con altri agenti e/o associazioni culturali e non;
- Diffondere con i mezzi ritenuti più idonei manifestazioni, eventi o progetti culturali;
- Collaborare con istituzioni pubbliche o private alla promozione culturale del territorio;
Per realizzare gli scopi di cui sopra potrà chiedere tutte le autorizzazioni, anche di commercio, all’uopo necessarie.
L’Associazione potrà, inoltre, svolgere attività formative, su materie inerenti gli scopi sociali sopra elencati.
Art. 3 - La durata dell’Associazione è fissata al 2050, ma potrà essere prorogata con delibera dell’Assemblea anche prima della scadenza del termine.

SOCI
Art. 4 - Il numero dei soci è illimitato.
Possono far parte dell’Associazione le seguenti categorie di soci:
- Soci fondatori;
- Soci ordinari;
- Soci benemeriti;
Art. 5 - Non possono, invece, essere soci coloro che abbiano interessi contrastanti con quelli della Associazione.
Art. 6 - Per le obbligazioni associative risponde unicamente l’Associazione con le proprie disponibilità monetarie e non. Nulla verrà preteso dai Soci per la copertura delle citate obbligazioni.
Art. 7 - I Soci fondatori sono coloro che risultano presenti all’atto della Costituzione. Fra di essi verranno eletti i componenti del primo consiglio dell’Associazione. I soci fondatori sono inoltre esentati dal pagamento della quota d’iscrizione all’Associazione.
Art. 8 - Coloro che desiderano diventare Soci ordinari sono tenuti a presentare una richiesta scritta al Consiglio dell’Associazione, nella quale, devono dichiarare di obbligarsi all’osservanza del
presente statuto e delle deliberazioni degli organi dell’Associazione. Nella domanda devono essere chiaramente evidenziati:
- Il nome, cognome, la data di nascita, la residenza e il campo culturale di appartenenza;
Art. 9 - Al Consiglio dell’Associazione compete di esaminare la richiesta e decidere in merito all’accoglimento della stessa.
Art. 10 - Il nuovo Socio ordinario ammesso è tenuto a versare la quota d’iscrizione prevista dall’Associazione. Nell’ipotesi in cui non sia adempiuto tale obbligo, entro un mese dalla comunicazione della deliberazione del consiglio dell’Associazione inerente all’accettazione della richiesta, la stessa si intenderà come non avvenuta.
Art. 11 - I Soci benemeriti vengono indicati dall’Assemblea dell’Associazione fra quelle personalità che si sono distinte nei diversi campi culturali. Per la loro nomina sono necessari almeno i 2/3 dei voti dell’Assemblea. I soci benemeriti non sono soggetti al pagamento di nessuna quota all’Associazione. Essi partecipano all’assemblea ordinaria e straordinaria senza diritto di voto.
Art. 12 - I Soci fondatori e ordinari sono tenuti:
- al pagamento delle quote associative annuali;
- ad osservare, sia le norme dello statuto, sia le delibere prese dall’Assemblea e dal Consiglio dell’Associazione;
Art. 13 - La qualifica di Socio si perde per morte, per dimissioni e per esclusione.
Art. 14 - Il Socio, può essere escluso dal Consiglio dell’Associazione, nei casi in cui è manifesta:
- la non osservanza delle disposizioni statutarie o delle delibere dell’Assemblea e del Consiglio dell’Associazione;
- il non adempimento puntuale, senza giustificato motivo, degli obblighi assunti a qualunque titolo nei confronti della Associazione;
- la morosità nel pagamento delle quote associative, tenendo presente che, in questo caso, il Socio stesso deve essere invitato con comunicazione scritta, a mettersi in regola con i pagamenti e, di conseguenza, l’esclusione potrà avere esecuzione solamente trascorsi due mesi dall’invito, sempreché continui a sussistere l’inadempienza;
- la situazione di danno o di tentato danno, a livello morale o materiale, per l’Associazione;
Art. 15 - Le delibere, assunte dal Consiglio dell’Associazione e riguardanti il Socio, devono essere comunicate, per iscritto, all’interessato, al quale è riservata la possibilità di ricorrere all’Assemblea dell’Associazione.
Il ricorso deve essere proposto, pena la decadenza, con comunicazione scritta, entro 30 giorni dal ricevimento della delibera.
La presentazione del ricorso ha effetto sospensivo.
Art. 16 - Il socio escluso ha diritto solamente al rimborso delle quote d’iscrizione versata.

PATRIMONIO ASSOCIATIVO
Art. 17 - Il patrimonio dell’Associazione si compone:
- dal Fondo Associativo costituito dalle quote d’iscrizione e relative quote annuali dei soci fondatori e ordinari;
- da eventuali residui attivi di manifestazioni organizzate dall’Associazione;
- da contributi di Istituzioni o Associazioni Pubbliche o Private;
Da qualunque altro contributo che pervenga all’Associazione.

RESOCONTO ECONOMICO
Art. 18 - Il resoconto economico prende in esame il periodo compreso dal il primo gennaio e si conclude il 31 dicembre di ogni anno.
Alla fine di ogni anno, il cassiere provvederà alla redazione del suddetto resoconto, dopo aver compilato un esatto inventario seguendo criteri di oculata prudenza.
Gli avanzi risultanti dal bilancio entreranno a far parte del patrimonio dell’Associazione o eventualmente devoluti, con votazione unanime dell’Assemblea a quelle associazioni o enti benefici individuati dal Consiglio.

ORGANI ASSOCIATIVI
Art. 19 - Sono organi della Associazione:
- L’Assemblea;
- Il Consiglio;
- Il Presidente.
Art. 20 - L’assemblea è ordinaria o straordinaria.
L’assemblea ordinaria deve essere convocata dal Presidente o dal Consiglio dell’Associazione almeno una volta l’anno. Sono di sua competenza:
- approvazione il resoconto economico;
- elezione del Presidente e dei consiglieri;
- la trattazione di re tutti gli argomenti che sono di sua competenza e che siano stati posti all’ordine del giorno.
I Soci hanno la facoltà di richiedere l’indicazione, nell’ordine del giorno, di determinati argomenti o di richiedere la convocazione dell’Assemblea, a condizione che la domanda relativa sia presentata, per iscritto, da almeno un terzo dei soci che hanno diritto di voto nell’assemblea stessa.
La convocazione dell’assemblea, ordinaria o straordinaria, deve essere effettuata per mezzo di avviso, contenente l’ordine del giorno, da affiggersi in modo visibile nei locali della Sede dell’Associazione almeno sette giorni prima dell’adunanza, oppure, mediante invio di comunicazione, scritta almeno cinque giorni prima dell’adunanza.
Art. 21 - L’assemblea, ordinaria, è valida, quando è presente o rappresentata almeno la metà più uno dei soci aventi diritto al voto.
Art. 22 - L’assemblea, straordinaria, è valida, quando è presente o rappresentata almeno i 2/3 terzi dei soci aventi diritto al voto.
Le deliberazioni devono essere prese a maggioranza assoluta dei soci presenti o rappresentati nelle adunanze quando si tratta di deliberare:
- sullo scioglimento anticipato dell’Associazione;
- sulla sua trasformazione.
In ogni caso, nell’ipotesi di delibera di trasformazione dell’Associazione, i soci dissenzienti hanno il diritto di recedere dall’Associazione medesima e alla restituzione delle quote d’iscrizione versate.
Art. 23 - Nell’assemblea hanno diritto di voto coloro che risultano iscritti da almeno tre mesi all’Associazione e ciascun socio ha diritto ad un solo voto.
In caso di malattia o di altro impedimento, i membri possono farsi rappresentare nell’assemblea da altri soci ordinari o fondatori mediante deleghe scritte che, oltre ad essere menzionate nel verbale, devono essere conservate dall’Associazione.
In ogni caso non si può rappresentare, per delega, più di un soci.
Art. 24 - L’assemblea, ordinaria o straordinaria, deve essere presieduta dal Presidente dell’Associazione, salvo che, per richiesta della maggioranza più uno dei soci, l’assemblea non elegga altri a presiederla.
Nel caso in cui non è presente il Presidente dell’Associazione, si procede sia alla nomina del presidente dell’Assemblea fra i soci presenti, mentre, l’ufficio del segretario dell’assemblea, viene assunto o dal segretario dell’associazione o in caso di sua assenza o impedimento da un membro nominato dall’Assemblea.
Le delibere devono essere fatte constatare da un verbale approvato dalla stessa Assemblea e sottoscritto dal presidente e dal segretario.
Art. 25 - Il Consiglio dell’Associazione è composto da un numero pari di soci, escluso il Presidente, eletti dall’assemblea dell’Associazione.
Durano in carica tre anni e sono sempre rieleggibili.
A loro interno il Consiglio provvede alla nomina dei seguenti uffici:
• Vice Presidente
• Cassiere
• Segretario
• Addetto Stampa
Art. 26 - I consiglieri non hanno diritto a compenso, ma compete loro solo il rimborso delle spese sostenute, per conto dell’Associazione, nell’esercizio delle loro mansioni purché regolarmente documentate.
Il Consiglio dell’Associazione deve essere convocato, dal presidente, tutte le volte che lo ritiene utile o quando ne è stata fatta domanda da almeno due consiglieri.
La convocazione deve essere effettuata, per mezzo di avvisi personali da spedirsi o da recapitarsi, almeno quattro giorni prima dell’adunanza.
Le adunanze sono valide se è presente la maggioranza dei consiglieri in carica.
Le deliberazioni devono essere prese a maggioranza assoluta dei componenti del Consiglio presenti.
Art. 27 - Il Consiglio è investito dei più ampi poteri per la gestione ordinaria e straordinaria dell’Associazione.
Art. 28 - Nel caso in cui, vengano a mancare uno o più consiglieri, quelli che rimangono in carica devono provvedere alla loro sostituzione.
I consiglieri, così nominati, restano in carica fino alla prima assemblea. Se, invece, viene meno la maggioranza dei consiglieri, quelli che restano sono obbligati a convocare l’assemblea per la sostituzione dei consiglieri venuti meno.
La scadenza della carica dei consiglieri nominati dall’assemblea, sarà quella dei consiglieri sostituiti.
Art. 29 - Al Presidente dell’Associazione spetta la rappresentanza e la firma Associativa.
Pertanto, egli rappresenta, a tutti gli effetti, l’Associazione Culturale Megarese di fronte ai terzi ed in giudizio.
Nell’assenza o nell’impedimento del Presidente, tutte le mansioni da lui svolte spettano al Vice Presidente.
Art. 30 - Il Presidente è autorizzato a riscuotere da qualsiasi Pubblica Amministrazione, ditta o privato, a nome e per conto dell’Associazione Culturale Megarese, pagamenti di ogni natura e per qualsiasi titolo, rilasciandone liberatoria quietanza. Egli a sua volta può autorizzare con apposito atto scritto approvato dall’Assemblea dell’Associazione, il Cassiere per le attribuzioni precedentemente descritte.
Ha la rappresentanza in giudizio, sia attiva sia passiva, davanti a qualsiasi autorità giudiziaria e amministrativa e in qualunque grado di giurisdizione.
In caso di assenza o di impedimento del Presidente, anche temporanei, accertati dall’assemblea dell’Associazione e verbalizzati nel corso di una propria riunione, tutte le sue attribuzioni spettano al Vice Presidente fino alla scadenza del mandato del Presidente dimissionario.

DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 31 - In caso di scioglimento dell’Associazione il consiglio provvede all’accertamento del Patrimonio, presentandone resoconto all’Assemblea.
Art. 32 - Nell’Ipotesi di scioglimento, l’intero patrimonio dell’Associazione verrà diviso fra i membri ordinari e i membri fondatori.
Art. 33 - Per tutto quanto non è contemplato nel presente statuto valgono le disposizioni di legge vigenti.

17/10/07

Albo d'Oro Agorà - Xifonia

Albo d'Oro Premio Agorà (preleva)

Albo d'Oro Premio Xifonia (preleva)

09/10/07

Un giorno diverso

di Rovini Maurizio - Pisa, Terzo Classificato

Ci sono giorni che cominciano come tutti gli altri, solite circostanze ed azioni che si ripropongono puntualmente ogni mattina. Poi l’imprevisto, un mazzo di chiavi dimenticato a casa…e tutto il mondo crolla.
Per aver descritto quanto il crollo di alcune fondamentali certezze possa ferirci e segnare per sempre la nostra vita.

Era un giorno come tanti altri, di quelli piatti e carichi di nulla. Proprio di quelle giornate con le solite cose che ti affollano la mente, orari programmati, il lavoro già nella testa che bussa alla tua attenzione, il bimbo da portare a scuola, dai che si fa tardi, sei sempre in ritardo.
Ordinario, lineare, direi ovvio. Non importa se fuori c’è il Sole, se c’è vento o fa caldo, solo se piove cambia qualcosa perché dobbiamo partire prima, c’è più traffico, tutti usano l’auto e la città diventa ancora peggio di quello che è di solito.
Lo zaino è troppo pesante, sei curvo sotto il suo peso. La scoliosi che può incombere, la crescita che avviene sotto i miei occhi e non mi rendo conto. Sei già grande e non ti ho visto mai. Tutto automatico, tutto frenetico, tutto programmato, anche il giorno intero, fino al sonno.
Non quel giorno, però. Avevo un sogno davanti ai miei occhi e non lo vedevo, correvo soltanto. Mai lasciare le chiavi dell’auto fuori posto e salire, risalire un attimo a prenderle ed udire, si udire. Parole dure le sue, sassi contro i vetri del cuore che piovevano diretti su di me ed io accasciato sul tappeto del corridoio, ansimante. Il bimbo che urla e chiama dalle scale, là in fondo, dai babbo dove sei finito? Perché ci metti così tanto? Faccio tardi a scuola.
Non lo so più dov’è babbo. So solo dov’era due minuti prima, adesso non lo so più.
Il cuore a mille, la testa ti gira, non è possibile che ella, la mia vita, proprio lei stia parlando con un altro uomo di amore.
Perché, dico io? Perché proprio a me? Ma non era tutto perfetto? Che cosa mancava mai?
E il bimbo che chiama. Faccio tardi, dove sei?
Ed il cuore che reclama la calma, non vivrai a lungo lo sai, se continui così? Urla anche lui e forse ha ragione. Calmati. Respira, respira, con fatica ma respira lentamente. Attimi che non passano mai ma devo udire fino in fondo. Il bimbo è disperato, che fine hai fatto? Dovevi prendere solo le chiavi. E’ sempre in fondo alle scale ma inizia a salire. La moglie lo sentirà e terminerà la conversazione ed io devo udire, devo sentire la sentenza ella mia morte.
Che fare? Il cuore non regge.
Non ti posso fermare, bimbo mio, non posso parlare, vorrei gridare ma non posso ma fermati lì dove sei e stai zitto.
In un attimo sono morto, lì sul tappeto, in un corridoio che non ha neppure una finestra, io che volevo morire al Sole, manca l’aria. Il mio vestito bello del lavoro, le foto con lei, una vita per lei tutto è intorno a me a me, tutta la mia vita in quel corridoio e lei è ancora al telefono.
Ecco che tutto ciò che avevo non esiste più, tutto è perduto ed io sono cieco e sordo. Come ho fatto a non vedere? A non accorgermi? Forse ho corso troppo, forse…
Il bimbo arriva e sente anche lui, piange con me in quel corridoio. Lei ci vede e sorride, neppure immagina da quanto siamo lì. Ci voltiamo non due e scendiamo le scale mano nella mano, io e lui. Nel silenzio del traffico che entra dal portone aperto, nel caos delle nostre idee, ne chiavi? Le ho prese, tranquillo non arriviamo in ritardo.
Bimbo mio, tutto va gustato, assaporato ad ogni istante perché in un istante, solo in un attimo, per due parole udite, può volare via.
Visto tu che ti preoccupavi? Non siamo arrivati in ritardo neppure stamani.

L'odore del caffè

di Maddalena Roberta - Siracusa, Secondo Classificato

Un uomo ed una donna abbracciati in riva al mare osservano l’orizzonte, dove mare e cielo si fondono, come i loro due corpi, in un’unica materia, esprimendo il loro reale senso di appartenenza.
Per aver descritto il piacere di chi riesce ad abbandonarsi completamente e con fiducia ad un’altra persona fino a fondersi con essa.

Un rumore? No, la luce dell’alba che insinuandosi tra le pieghe delle tendine saltella per il piccolo camper. Camper?! Mi sollevò un po’ sul fianco e, mentre le numerose coperte scivolano via lungo la mia schiena nuda, il freddo mi riporta alla realtà. Mi volto velocemente e lo vedo: se ne sta accucciato in un angolo coperto fino alle orecchie, i riccioli biondi e ribelli sono sparsi per i l cuscino. Sprofondo nuovamente tra il mucchio di plaid e sacchi a pelo e mi guardo intorno: vestiti sparsi ai piedi del letto componibile e oggetti vari, libri, tazze, ammucchiati un po’ ovunque, sul cucinino e perfino sul coperchio del bagno chimico. Fisso lo sguardo sul tetto, dove abbiamo scritto frasi in italiano e in inglese attingendo ai nostri ricordi scolastici di letteratura, quando le sue dita lunghe e agili tornano a disegnare parole ma questa volta sul mio corpo, lungo le gambe fino all’interno delle cosce.
Il vento fa ondeggiare la nostra piccola casa sulle ruote, trasportando gocce d’acqua salata dal mare. Mi avvolgo in un plaid e aperta la porta del camper affondo i piedi nudi nella terra bagnata. Il cielo grigio è solcato da nubi fitte che si specchiano in acque scure e minacciose. Là dove inizia la spiaggia mi siedo, per godermi da spettatrice la vista dell’alta marea che torna a lambire questa striscia di terra. Lui mi ha seguita, fatica a tenersi avvolta una coperta attorno al corpo nudo mentre le mani sono occupate da due tazze di caffé all’inglese: caldo, abbondante e molto diluito. Non troppo lontano i gabbiani conversano tra loro e noi due silenziosi ce ne stiamo vicini e immobili. Mi chiedo cosa pensi, cosa provi… il dubbio dura solo un istante… il suo sorriso sornione torna a dipingergli un’espressione pazzescamente attraente sul volto riportandomi a questa realtà. Le tazze sono ormai fredda tra le nostre dita e, mentre gli rubavo l’ultimo sorso, mi sono accucciata tra le sue gambe. Lui mi sussurra all’orecchio: <>. Ma nessuno dei due si muove… restiamo l’uno tra le braccia dell’altra… mentre il vento si placa e il mare sembra rallentare la sua corsa sulla sabbia.
Non ho pensieri, non ho bisogno di avere paura, ho finalmente trovato i miei sogni… me stessa nel calore di un altro corpo, in un tempo che non credevo avrei raggiunto, in un luogo dove sicuramente non sono nata né cresciuta. Mi lascio sollevare e, mentre lui affonda pesantemente nella sabbia, lancio un ultimo sguardo al mare”sono a casa!”, e appoggiando il viso sulla mia spalla mi abbandono al volere di un altro essere umano… i suoi capelli mescolati ai miei, senza sapere dove inizi il mio l’odore e finisca il suo, l’una nell’0altro come orizzonte indefinito che ci lasciamo alle spalle, un cielo e un mare fusi in un unico abbraccio.

Angeli

di Lurini Maria – Maddaloni (CE), Primo Classificato

Chi sono gli angeli? Sono ancora quegli esseri spirituali e di giovanile bellezza dotati di ali? Chi rimane aggrappato alla vita attraverso i propri sogni; chi vive in una dimensione diversa da quella degli altri, con valori essenziali ma profondi, e proprio per questo riesce ancora a sorridere; chi si sveglia da uno stato di torpore esistenziale indotto dalla paura dell’altro da sé, ed improvvisamente solleva lo sguardo e si accorge del mondo e vuole viverlo e volare su di esso…Sono candidati a diventare angeli, o lo sono già?
Per aver rappresentato con sapienza stilistica ed estrema sensibilità la grande forza che è insita nei più fragili.

Qualcuno ieri mi parlò di Angeli…
Forse era un uomo fragile che parlando pregava.
Molti erano i suoi sogni. Erano talmente tanti che, come i vagoni di un trenino assemblati da bambini, stentavano a tenersi uniti nella loro corsa avevano un andamento buffo, colorato, scombinato.
Ancora oggi i suoi sogni reggono. Ancora per oggi i sui sogni lo tengono insieme.

Qualcuno ieri mi parlò di Angeli…
Mosè, con i suoi grandi alluci che straripavano dalle ciabatte sdrucite, guarda dalla sua solitaria postazione le macchine che sfrecciano lungo la strada. Sulla testa, appeso ad un ramo dell’albero che gli fa ombra pende, a testa in giù come un allegro impiccato, un mazzo di fiori di plastica.
Ai suoi monumentali piedi c’è il frutto dell’ultima incursione nei bidoni lì vicino: sbilenchi e ammaccati si offrono in bella vista un orsacchiotto di pezza e una bambola vestita da spagnola.
Mosé dai grandi pedi e dalla grande mascella, coi suoi occhi azzurri, velati di cataratta e di saggezza, guarda. Immobile guarda e sorride seduto, appoggiato al suo inseparabile sgangherato passeggino per bambini. Anche l’orsacchiotto orbo e la bambola dagli occhi socchiusi, a loro modo, guardano e sorridono.
Noi tutti, con le nostre auto, andiamo felici con lo sguardo fisso e diritto davanti a noi. E’ difficile il lunedì mattina, concedersi il tempo di sorridere.
Mosè, immobile, continua a sorridere.
Qualcuno ieri mi parlò di Angeli…
Era una donna che soffriva di vertigini. Da sempre guardava dove metteva i piedi. Per paura di cadere camminava come un’acrobata su un filo.
Quando fu vecchia le sue gambe stanche si rifiutarono di seguirla e lei, ora che era seduta, si accorse di non aver mai guardato il mondo intorno a sé.
Invocò gli angeli perché le regalassero un paio d’ali.

Viaggio profumato

di Fringuelli Sandra - Perugia, Terzo Classificato

Tra i vari tipi di memoria, quella olfattiva riesce, attraverso il ricordo degli odori, a riprodurre nella mente esperienze passate collocandole nello spazio e nel tempo. Questo accade alla protagonista del racconto che, chiudendo gli occhi, si lascia condurre attraverso un viaggio intimo e “profumato”.
Per aver raccontato come, attraverso il ricordo degli odori, si possa ripercorrere il passato.

Sabato pomeriggio di un tiepido e delizioso maggio. Sono sdraiata in giardino la pagina del test della rivista femminile che sto distrattamente sfogliando dice: “scopri che tipo di memoria hai”. La prima domanda recita: “qual è il primo ricordo legato alla scuola?”. Mi sorge un sorriso divertito sulle labbra, perché la risposta immediata è: “l’odore di muffa del libro di geografia”…è proprio così, i miei ricordi si appoggiano più sull’olfatto che sulle immagini… e mi trovo immersa nella memoria dei miei profumi, la mente si lascia portare su percorsi di aromi antichi, gli occhi si sono chiusi istintivamente come inebriati dalle essenze che salgono da ricordi lontani, il profumato viaggio è iniziato… mi conduce indietro, all’infanzia, afferro l’odore del pastone per il ripieno dei tortelli toscani che faceva mia nonna: quella spezia, forse cannella o noce moscata, da bambina mi faceva prudere il naso, e la mia mano di oggi, come se un granellino lanciato dalla fionda della memoria mi raggiungesse, si stropiccia il naso. Resto ad occhi chiusi per continuare il viaggio, la casa della nonna nella maremma toscana è intrisa di numerosi e odorosi inquilini. Quello dell’Acqua Velva massaggiata dallo zio sulla sua pelle appena rasata. L’odore di fresco, di primavera e di baci dati con la pelle liscia ad una bambina che s’imbratta con la soffice schiuma da barba. Sento gli zoccoli del ciuchino che sta salendo sul ciottolato sotto casa, acchiappo l’odore di stallatico, di erba tagliata di fresco che dondola sui cesti della soma, di cuoio impregnato di sudore che striscia sul pelo, non riesco ad affacciarmi sul davanzale, lo zio mi alza da dietro, saluto il ciuchino mentre l’odore intenso del basilico sul vaso mi fa starnutire. Dal salotto adoperato come dispensa, arriva l’aroma di uova e zucchero delle “pastine”, piccoli dolcetti secchi fatti in casa cosparsi di farina: mangiarli trasformava tutti in dei piccoli clown dalle labbra bianche. Ma dopo colazione si va a giocare, la palla è in cantina….mmhh, odore di umido, di corde impolverate, di cuoio consumato, di funghi lasciati a seccare, di funghi che sporgono dalla legna ancora fresca che ci scalderà il prossimo inverno, odore di sughero bagnato dal vino e di posa di vino nelle damigiane panciute, penso alle spalle possenti che le sorreggevano, le spalle di quel nonno che non ho mai conosciuto ma ho nel naso l’odore dei suoi vestiti conservarti nell’armadio, la naftalina penetrante, la fida lavanda e la mano morbida di mia nonna che sfiora delicatamente quei ricordi. Quella mano porta con sé l’aroma dell’amore, che sa di talco e di violetta. Nel mio viaggio all’indietro è arrivata la sera, ecco l’odore rassicurante dei ceci con i tagliolini fatti in casa: pastosi, morbidi, cremosi come il loro aroma, la mamma me ne versa un poco alla volta nel piatto affinché non mi bruci, assaporo il profumo del parmigiano appena grattato mentre il babbo me ne porge un pezzetto, con le dita carnose di bambina paffuta afferro le briciole rimaste sulla tovaglia: mi gusto la minestra e la serenità che profuma di casa di quei momenti. E’ notte: l’aroma dell’infuso di malva selvatica lasciato a raffreddare si insinua nel naso, preferisco l’odore morbido del miele sciolto nel “latte della buonanotte”, così lo chiamava mio padre che mi invitava a berlo prima di caricarmi sulla schiena per portarmi a letto. Un bacino, le coperte e posto il nasino che afferra l’odore della “Cera di Cupra”, rivedo i movimenti sicuri ed energici di mia madre su viso e collo, poi è la volta della crema alla glicerina per le mani e quindi l’aroma del mio cuscino che sa di pulito, di buono, di giorni perfetti di un’infanzia assolata. Al mio risveglio incontro l’odore della “schiaccia “ toscana quel sapore di focaccia di cui ho ancora nostalgia, le mie manine unte e infarinate che imbrattavano ogni cosa che toccavano, gli occhi intrisi di sonno eppure vivi su quei giorni casalinghi, intimi, spensierati, industriosi e felici… felici d’una pace che funge da gran serbatoio di poesia a colui che l’attraversa avendoli vissuti.
Rientro dal viaggio e gli occhi si sono inumiditi, il sorriso sulle labbra è quieto e sereno, la memoria è ancora immersa nei profumi di quell’intimo ricordare, mi beo di queste sensazioni e rifletto che da bambina vivevo in quella casa della Maremma toscana per due mesi l’anno, pochi rispetto alla casa di Perugina, ma qui mi sentivo “grande”, non una “città” come dalla nonna, ma una bambina. “Città” è una parola che non conosce solitudine, evoca la familiarità, un’infanzia perpetua: la casa della nonna era il luogo della libertà di essere piccola, di esserlo sempre, di esserlo ancora. “Città” era mia madre per mia nonna, io per mia madre, “citti” io e mio fratello … oh, si, questa parola non conosce solitudine. Ma il mio naso non soffre di nostalgia e non è mai pago di afferrare l’essenza di ogni momento, e così è subito catturato dall’aroma intenso del gelsomino in fiore che rampica sulla parete del vicino, ma è lo stesso profumo che c’era nel giardino della pensione “Onda Marina” di Fano…. Mmhh, odore di pesce alla griglia, di conchiglie sulle mani, di crema solare, di vacanze da bambina… gli occhi si chiudono per un altro odoroso viaggio.

Nel silenzio della mia anima

di Maddalena Roberta - Siracusa, Secondo Classificato

Il passato che torna, la ragazza di un tempo riemerge dalla memoria urgentemente, prepotentemente, chiedendo spazio e attenzione alla donna di adesso, una donna che avrebbe potuto essere moglie e madre ma non lo fu, una donna perduta tra i ricordi cristallizzati di un’epoca vissuta in felice incoscienza, ricordi che vengono subito in soccorso nei momenti bui della vita, quando, per esempio, ci illudiamo, ma non più di tanto, di poter ricostruire qualcosa che sappiamo essere ormai distrutto per sempre.
Per aver rappresentato il dolore benefico di chi, attraverso un percorso di disincantata consapevolezza, giunge a comprendere la propria non-identità.

… ho udito me stessa, una ragazza di molti anni fa, vagava inquieta, parlando ad alta voce e stropicciandosi nervosamente le mani. Piccole gocce di sangue coagulato sembravano formare disegni sui dorsi scheletrici. Niente di lei poteva fare immaginare che un tempo avesse amato… nuda fra le lenzuola aveva riso, illuminandosi mentre il respiro del suo manate aveva finito con il trasformare il gioca di una ragazzina in quello di una donna.
Nel rumore della quotidianità, a volte, quando il peso delle responsabilità finisce con il cortocircuito del pensiero e un tremore nella vista, per un istante è come se fossi in contatto con il suo mondo, come se lei, la ragazza, cercasse la mia attenzione. In quei momenti non mi fermo mai ad ascoltarla, ma oggi è un giorno speciale, un anniversario speciale per entrambe e ho deciso di rispondere alla sua strana chiamata. La trovo, ha il volto disteso, abbozza quasi un sorriso ma lo sguardo sembra perso nel vuoto, fissa un punto davanti a sé ma io non vedo niente. Lei mi nota e m’invita con un gesto della mano a sedermi accanto. Siamo molto vicine, posso sentirla respirare ma continuo a non vedere, a non capire, non riesco a distogliere lo sguardo dal sangue coagulato che tira la pelle delle mani e poi, all’improvviso….
…mi trovo in una scuola, ci sono tanti bambini, le maestre si sforzano di farli stare seduti ai propri tavoli, li invitano a finire il pranzo…. C’è molta confusione e molto rumore, ma adesso so che cosa, chi cercare…. Mi riconoscerà? Vorrà vedermi? Mi odierà? Ed io come farò a capire chi è, tra tutti questi piccoli esseri, la mia bambina? Mi sembra che mi manchi il respiro, quando il mio sguardo si ferma: è piccola per la sua età, magra, ha i capelli molto corti e castani, sembra un uccellino. Si è alzata di scatto dalla sedia e mi fissa, forse aspetta un mio gesto?! Poi, senza esitazioni, un sorriso identico a quello di suo padre le illumina il volto e, correndo, mi butta le braccia al collo e sussurra: <>…
… Apro gli occhi… sono sudata, affannata e non riesco a smettere di piangere… è buio… muovo freneticamente le mani alla ricerca di un particolare che mi sia familiare… le lenzuola, una parete… urto qualcosa che, cadendo, produce un rumore sordo… a questo punto dovrei capire dove mi trovo… niente… nessuno sembra essersi accorto della mia rumorosa presenza….
Improvvisamente la suoneria di un telefonino ferisce l’aria… sembra una canzone di successo degli anni ’80 … non ricordo il titolo… so che è un mio pensiero di nessuna importanza e una strana sensazione s’impadronisce del mio essere normalmente così razionale: sono furiosa!!! Questa è casa sua, il suo letto, il suo telefonino…. Adesso lo posso sentire, bisbigliare in un’altra stanza…. Una luce accesa altrove nell’appartamento crea una leggera penombra che giunge fino al letto… mi alzo e cerco nella confusione di lenzuola e sentimenti i miei vestiti… …una maglietta, un paio di jeans… ma che ci faccio qui? Che razza di donna sono diventata? Riconosco i segni della notte appena trascorsa: tocco con la punta delle dita il collo di una bottiglia di birra vuota… ne conto parecchie, a coprire la superficie di un vecchio tavolino… c’è un forte odore di sigarette spente nell’acqua o meglio in qualche liquido non più riconoscibile sul fondo di un paio di bicchieri…. Mi avvicino alla portafinestra e sollevata la serranda esco su di un piccolo balcone.
La notte m’investe di colori e gli odori tipici di questo inizio d’estate siciliana… non c’è la luna a specchiarsi nel mare calmo e piatto davanti a me, la luce arriva flebile da qualche lampione sul lungomare di Ortigia…. Nell’aria c’è odore di cibo cucinato in ristorantini affollati di turisti, mescolato al profumo dei fiori sui balconi addobbati per qualche festa di quartiere.”Sono confusa e molto stanca”, penso e mi lascio scivolare per terra con le spalle al muro… mi stringo le ginocchia al petto e mi ripeto in silenzio che dovrei andare, allontanarmi il più possibile da questa notte e da questo appartamento, mettere nuovamente chilometri di noiosa e banale quotidianità tra me e lui. Me lo ripeto, ma resto immobile… una coppia un po’ brilla ride rumorosamente mentre passa sotto il balcone… la risata di lei ricorda un po’ la mia, qualche anno fa…. Maledizione! Mi dico ad alta voce. Faccio per sporgermi verso l’interno della stanza… lui se ne sta ancora altrove, con il telefonino incollato all’orecchio, ma adesso ha smesso di bisbigliare, avrà pensato che è meglio che senta… lo conosco così bene! Fosse un altro non vi darei peso, ma la mia anima malata doveva scegliere nuovamente lui per toccare il fondo e ricominciare a scavare?! Si starà dicendo:”meglio che capisca da sé che c’è un’altra, una che è convinta di essere l’unica, una che non vuole ferirmi, una che sa come amarmi”, una che non sia io.
Non saprei dire per quanto tempo rimasi immobile, seduta su quel balcone…dopo in po’ che lui aveva smesso di parlare al telefono, fu chiaro che non sarebbe venuto a cercarmi e quando finalmente mi decisi a lasciare l’appartamento non lo vidi nel breve tragitto verso la porta. Sapevamo entrambi di non esserci incontrati per caso, sapevo che lavorava nel pub dove avevo deciso di affogare la nottata appena trascorsa, ma di certo non avevo programmato che tutto sarebbe finito in un tentativo comune di rivivere il passato. Ciò che non so, è se lui ricordava l’anniversario che mi ha spinto a cercarlo.
…una notte di molti anni prima, quando amavo farmi chiamare con un nomignolo buffo anche dai colleghi in facoltà…. In un vecchio e accogliente appartamento del centro storico catanese…. Ce ne stavamo sdraiati su di un logoro divano di finta pelle, mezzi nudi per il caldo… appoggiata lui, facevo ciondolare una gamba sul pavimento e ogni tanto canticchiavo ad alta voce per distrarlo dalle sue letture… le nostre vite erano state da poco sconvolte da una notizia inaspettata, ma noi due sembravamo immuni dal caos che si sarebbe sprigionato intorno, tra i nostri familiari: aspettavamo un bambino!In questa calda notte di inizio esami l’avevamo trovato semplicemente naturale… e altrettanto semplicemente avevamo deciso di vivere per un altro po’ di tempo in uno stato d’incoscienza…. Creando uno dei ricordi più dolci della nostra breve vita insieme., immagini e sensazioni da riesumare nei momenti bui, difficili da giudicare, impossibili da rivivere. La luce di una lampada da tavolo lasciava la buio la maggior parte della stanza, nell’aria c’era ancora l’odore della cena e dalla strada provenivano le voci un pò brille dei nostri vicini, seduti a chiacchierare davanti l’enoteca. Non riuscivo a concentrarmi nella lettura, così poggiati per terra i piedi scalzi andai a prendermi un bicchiere di acqua ghiacciata in cucina… rimasi seduta a fissare il vuoto per molto, perché ad un certo punto me lo trovai chinato su di me, si era tolto gli occhiali da vista, aveva il viso maltrattato dal sonno e l’unica cosa che mi disse prima di condurmi a letto fu: <>.
Ancora oggi, se mi concentro, posso udire il suono di una goccia al contatto di una superficie liquida, posso vedere i piccoli cerchi concentrici che da quel punto si propagano increspando aritmicamente la superficie di quello che sembra un lago… è uno di quei ricordi dimenticati, sepolti più o meno volontariamente sotto altri più ricchi e formosi, nascosto fra le pieghe del tempo, riesumato dopo la notte trascorsa a casa di lui: è un tempo imprecisato, confuso adesso come allora, li ho persi da poco entrambi, io me ne sto seduta sulla riva del lago, quasi al contatto con l’acqua…. Una goccia dopo l’altra, un breve temporale estivo m i costringe a ripararmi sotto la tettoia del piccolo chalet dove alloggerò per la notte. Seduta su di un dondolo con un plaid sulle spalle mi godo le ultime luci prima del tramonto, intorno a me i rumori della montagna e le risate degli amici che mi aspettano al caldo per la cena….” A volte mi sembra di vivere una vita che in realtà non esiste, a volte è come se fossi riuscita a diventare madre e moglie…. A volte è come se non ci fossimo mai allontanati da quel divano di finta pelle…. Siamo rimasti lì noi tre, congelati nel tempo, dimenticati dal destino, salvi nel silenzio delle nostre anime.””

L'ultimo assist

di Caruso Francesco – Tusa (Me), Primo Classificato

Un calciatore sul finire della carriera contribuisce con un assist a far segnare ad un compagno il gol decisivo che permetterà alla sua squadra di “pivellini” di vincere il campionato europeo.
Per aver raccontato, attraverso la tecnica narrativa del monologo interiore, i pensieri che affollano la mente del protagonista che, con spiccata autoironia, riferisce sulla sua ultima partita giocata.

“Ma guarda che idiota. E passala quella palla. Non sei Pelè”. Peccato non poterglielo urlare. L’allenatore non gradirebbe. E questo sarebbe il mio erede, il nuovo regista della nazionale e della squadra più sculettata del Paese. Bell’erede…
Ma che ci faccio qui, seduto in mezzo a questi sbarbateli? Ah già, sono il vecchietto in gita premio al campionati d’Europa per nazioni. Una specie di santino, insomma. Il calciatore più talentuoso degli ultimi 10 anni portato in giro a mò di icona, per gli autografi, le foto con le vichinghe e le strette di mano. Ma di giocare manco a parlarne. Troppo vecchi caro Donati. Così mi ha detto il Presidente. Ti portiamo con noi, ma solo per l’immagine. L’immagine! Che stronzo. E che sono diventato, uno spot? Dovresti ringraziarci, mi ha anche detto quel cornuto (si, è cornuto, lo sanno perfino gli uscieri della Federazione). Apprezza la franchezza. E poi mi ha dato pure una bella pacca sulla spalla. Alé, abile arruolato. Ma con la consegna di non rompere i coglioni. E io qui ci sono venuto lo stesso, brutto verme, anche se a te avrebbe tanto fatto piacere uno sdegnato rifiuto. Così liberavi un posto per quel fighetto ventenne dell’under, il figlio di quell’ex portiere amico tuo, quel ragazzino presuntuoso che passa per genio per aver tirato un paio di punizioni “a foglia morta”. Io ho segnato almeno 30 gol così, tirando a palombella: il portiere si accorgeva del pallone quando era già dentro. Ma Ettore Donati non è mai stato paragonato a nessuno, era Ettore Donati e basta. “Bel calciatore, si, è elegante, ha visione del gioco, dribbling, un bel lancio…” e bla bla bla bla. Troppo elegante, però. Troppo tecnico, poco muscolare. Fuori dal tempo. Un lusso che il calcio di oggi non si può permettere. Oggi vanno di moda questi qui, tutti bicipiti e pettorali. Sembrano gonfiati con la pompa per canotti. Correre, correre. Correre e dar pestoni. Siamo tornati al calcio di Firenze. E allora Donati non va bene, anche se non ha nemmeno 32 anni E già vecchio, Donati, perché fa ancora i tunnel e i pallonetti, povero illuso. Gioca ancora alla foca ammaestrata, ‘sto rimbambito.
“Tira, Venturin tira!” Porco demonio, Venturin è la finale. La finale! Non sei al campetto dell’oratorio, non ti giochi una coppetta di latta. E’ la finale della Coppa d’Europa. Erano secoli che non centravamo una finale, Venturin. E tu che fai? Ti presenti da solo davanti al portiere e t’incarti sul più bello. E meno male che sei il capocannoniere del campionato. Il capo-coglione del campionato sei, ecco cosa sei.
Tutti così questi ragazzi, giganti di cartapesta. Però è la migliore nazionale degli ultimi tre lustri, bisogna ammetterlo. Sarebbe un peccato fallire questa occasione. Magari avessi avuto io quei due mediani, quando ero titolare fisso. Il fiore nel deserto, mi chiamavano, i giornalisti, perché ero l’unico talento in una squadra di carciofi. Eppure me le sono tolte anch’io un paio di soddisfazioni: quel gol ai tedeschi in amichevole… Stop di petto e tiro al volo in mezza rovesciata. Mamma mia, venne giù lo stadio. Io ci ho sempre tenuto alla nazionale, rispondevo alle convocazioni pure con la febbre. L’inno la bandiera.. Ora questi qui quando cantano l’inno sembrano una comitiva di celebrolesi scappati dall’ospedale. E se hanno il ginocchietto sbucciato, mandano subito il certificato medico.
“Gesù per un pelo. Non è entrata per un pelo… e stiamo più attenti in difesa! Se segnano, non li riprendiamo più”.
Ma perché non sono andato in tributa come le altre volte… Che poi stasera c’è pure Antonio tra gli spettatori. Ha visto che stavolta sto in panchina e pensa che forse mi faranno giocare. Vallo a spiegare a un ragazzo di 12 anni che il “panchinaro titolare” s’è infortunato in allenamento e che il padre è messo qui solo per fare numero.
Che dicono ‘sti due qua accanto? Madonna, che bestie. Vorrebbero mandare il nostro terzino destro in marcatura a uomo sulla loro ala. Bravi, così perdiamo la spinta sulla fascia e ci facciamo chiudere nella nostra area. La loro ala è un cesso, non c’è bisogno di marcarla: si marca da sola. Lo capirebbe pure un bambino. A questi puzza ancora l’alito di latte e già ragionano di tattiche…Stiamo messi bene!
“Ehi arbitro, i cartellini colorati non te li hanno dati per ornamento del taschino! Quello è un fallo di espulsione, venduto!” Va là che s’è fatto male per davvero. Pensavo che recitasse. Ecco, portategli l’acqua miracolosa, così si riprende.
No, non si riprende. “L’erede” è andato. Bel guaio a cinque minuti dalla fine. Mi sa che per il titolo di commendatore e devi aspettare il prossimo giro, mister. Questi giocano in casa. Supplementari, rigori e ti saluto la coppa. Sempre che non arrivi prima il golletto.
E ora chi ci mette? Sicuramente uno dei due armadi seduti vicino a lui. Non è più tempo di fiordalisi. Però io al suo posto non la butterei sull’agonistico: i nostri amici sono nordici, hai voglia a stancarli.
Io? Devo entrare io? Deve essere impazzito. Dopo la partita il Presidente se lo cucina in fricassea.
Entro, entro… Che si crede che me la faccia addosso? Certo che qualche minuto di riscaldamento non mi sarebbe dispiaciuto. Fa niente sono pronto lo stesso. Sì sì… ho capito. Lo so quello che devo fare. Mamma mia, ha la faccia bianca come un cencio. Su con la vita, è solo la Coppa Europa. Ih ih… Vuoi vedere i tacchetti? Eccoli qui. Belli vero? Ora mi fai entrare, fallito di un guardalinee?
Che vuole lo stopper? Sta correndo da me come un matto. Forse s’è innamorato e vuole darmi un bacio. Figliolo, non sei il mio tipo. La fascia di capitano? Ecco cos’era… Eh già, dimenticavo: ora che sono entrato, la devi dare a me, piscialletto.
“Calma, ragazzi, calma: continuiamo a giocare come sappiamo fare. Ancora non hanno vinto niente. Lo so che siete stanchi, ma dobbiamo stringere i denti. Tra poco ci aspettano i supplementari”.
Roba da pazzi! Cosa credevano di giocare contro il Dopolavoro Ferrovieri? Qua c’è da sgobbare, bimbi. Sono così spigliati quando firmano qui contratti stramiliardari e vanno in discoteca con le veline… Guardali ora: sudati, stravolti, con le magliette strappate e le strie di terra sulle cosce. Manca solo che qualcuno si metta a piangere e a invocare la mamma.
Quanto manca alla fine? Meno di un minuto, forse. Recupero? Niente. Meglio, questi non cela fanno più. Bello ‘sto rilancio su calcio d’angolo. Contropiede. Ho la palla e mezzo campo libero. No, c’è quello spilungone della difesa che mi sta appiccicato addosso. Ma in velocità lo frego. Sono fresco. Mi fermo all’improvviso e poi riparto. Ecco, l’ho saltato. Dribbling secco sullo scatto. E’ finito a gambe all’aria, povero stoccafisso. Ha tentato di stendermi e al posto dei miei stinchi ha trovato l’aria fresca. Ciao, ciao.
Dov’è quel coglione di Venturin? Stanno arrivando da dietro come forsennati. Eccoli lì che corre, col terzino alle calcagna. Un passaggio filtrante penso di saperlo fare ancora come si deve. Oplà, appena in tempo. Maledizione, testa di cavolo di un mungi-renne, che bisogno c’era di tranciarmi le gambe così? Ho già due menischi rotti, brutto figlio di una buona donna.
Ha segnato.
Non è possibile. Il coglione ha segnato. Anche un bel gol: diagonale rasoterra da sinistra a destra e palla all’angolino. La coppa è nostra. Non ce la faranno mai a pareggiare, manca troppo poco alla fine. Eccoli lì che si abbracciano e si baciano come se avessero vinto la guerra. Sembrano invasati. La panchina è esplosa. I nostri tifosi sono in delirio. Scrivono sempre così i giornalisti, in questi casi. Però è vero. C’è l’inferno. Che faccio, mi alzo? Magari se mi alzo qualcuno di loro si ricorda che trequarti del gol sono merito mio. No, non mi alzo. Me ne sto qui disteso sull’erba fino alla premiazione. Tanto la partita non riprende più, vedo l’arbitro con il fischietto in mano. Tutto finito, siamo campioni. Sono campione.
Ma guarda questo, ci fosse uno che si degnasse di venire da me. Errore uno c’è: il portiere. L’ho sempre detto che è un bravo ragazzo. Un po’ farfallone come portiere, ma bravo ragazzo. Si grazie, dammi una mano a rialzarmi. Sì abbracciamoci noi, visto che gli altri manco ci cagano. Le lacrime no, però. Non ti sembra di esagerare?
E adesso che faccio? Saluto tutti con la manina, mi vado a fare una doccia e ci vediamo per la festa.
Antonio dov’è? Eccola lì la mia coppa, la più bella di tutte. Ride e salta sulla sedia. S’è pure dipinto la faccia con i colori della bandiera. Si, tesoro, abbiamo vinto grazie a quel rottame di tuo padre. Dillo a tutti quelli che ti stanno attorno. Dillo anche a quell’arpia di tua madre, che per me ha il nome dolcissimo di ex-Moglie.
C’è l’allenatore che mi viene incontro Ora sì che ha ripreso colore. Mi tende la mano. Sì certo, grazie mister. Anche lei è stato bravissimo. Quanta ipocrisia! E dillo che non mi hai mai sopportato, che hai litigato per giorni con la Federazione perché non volevi inserirmi nella rosa. Però al momento opportuno ti ho fatto comodo.
Dov’è l’uscita? Eccola là. Permesso, permesso. Sì, grazie. Siete stati splendidi anche voi dagli spalti. Minchiate: sono rimasti in silenzio per tutta la partita, annichiliti dagli attacchi a ripetizione dei nostri avversari. Guardali adesso, sembrano tanti ubriachi. C’è quella ragazza che tra poco si toglierà pure le mutandine.
Oh, finalmente sono arrivato. Mannaggia a lui il Presidente. Sentiamo che vuole. Dice di fermarmi. Perché? Sto solo andando a farmi una doccia prima che arrivino gli altri, Non ce n’è bisogno, perché ho giocato poco? E che ne sa lui? Io comincio a sudare immediatamente. Vado e risalgo, dottore, tranquillo. Dice che non posso. E perché? Mi dice di voltarmi. E che ci sarà mai dietro, miss Scandinavia con le poppe al vento? No, non c’è. Ci sono invece quei 10 pivelli che mi vengono incontro con un gran sorriso cretino stampato sulle loro facce di tolla. Ma che vogliono?
Mi sollevano. Ehi, fate piano. Mi portano in trionfo. Il giro del campo. Cazzarola, non correte così. Non lo dovevano fare. No, dico davvero. Avrei preferito che mi ignorassero. Se mi portano in trionfo, vuol dire che è proprio finita. Non lo dicono, ma lo pensano, lo so. Bravo, ci hai fatto vincere ma ora levati definitivamente dalle palle, tu e i tuoi numeri da prestigiatore. Appendi le scarpe al chiodo, si dice così no? Non vi preoccupate, che il posto non lo posso togliere più a nessuno. Gioco ancora un paio di anni in serie B, nella squadra del mio paese, e poi apro un bar-tabaccheria. Sissignori, un bar-tabaccheria. Che c’è di strano? E’ sempre stato il mio sogno. Che dite? Che potrei fare il dirigente di una grande società? Ma per favore… non mi ci vedo in giacca e cravatta. In questo calcio, poi. Troppi soldi, troppi affari. A me gira la testa già con le bollette, figuriamoci con i bilanci. No, no, niente da fare. Io sono l’ultimo esemplare di una specie estinta: quella dei calciatori che a fine carriera aprono un bar-tabaccheria. E che l’ultimo assist lo fanno in cortile, dopo aver dribblato il cane.
Bar sport. Donati. Suona bene, non vi sembra?

Il mio dire è per te

di Scalia Marinella- Augusta (SR), Terzo Classificato

Ancora una volta è il mare, quale elemento purificatore, a fare da sfondo a questa esortazione a ritornare, attraverso un percorso introspettivo, ad una dimensione di vita sicuramente non perfetta ma di certo più autentica.
Per aver espresso con un registro linguistico informale e colloquiale la necessità che oggi l’uomo ha di riappropriarsi della propria essenza eliminando il superfluo.


In questa vita incerta
Lascia scorrere il tempo
Ascoltando un bel canto,
una volta, una sola,
alla venticinquesima ora.
Il mio dire è per te, amico,
come una casa davanti ad un grande mare blu.

Fermo sulla riva,
banditi i cattivi pensieri,
vedi quello che sei e quello che sai.
Esamina la realtà,
illuminati d’imperfezione,
abbandona la vanità,
mentre fuori dal tempo ti struggi
per turbolenti accadimenti, ormai lontani.

Lasciando delebili impronte,
quando il sole picchia in fronte e l’onda ti travolge,
ritorna dalla casa delle nuvole
con rinnovata curiosità e nuove verità

Senza Titolo

di Ingemi Andrea - Messina, Secondo Classificato

Cosa accade quando l’inconscio preme per tirare fuori un ricordo che la coscienza allontana? Un attimo, solo un attimo di consapevolezza, poi la coscienza si difende e ritorna l’oblio.
Per aver espresso, con uso sapiente delle regole di metrica e retorica e con spiccata originalità, i processi e i meccanismi di rimozione e di autodifesa operati dai fenomeni e dalle funzioni della psiche.

Cosa mi sfugge che non colgo all’istante,
cosa mi coglie quando sfuggo l’idea…
Un respiro sospirato si agita in me
ma si assopisce al freddo pensiero del no coscienziale
e sale…
sale come diniego all’esser felice
perché l’amore rubato non dice
di quanta pena è intriso il vorticoso vortice
delle umane passioni.
Tutto tace davanti alla linea
netta e morbida delle sue labbra,
il suo sorriso inquieto e innocente
taglia gli antichi affetti
placa i venti della mente, riaffiora il sospiro sopito,
prepotente.
All’istante colgo cosa mi sfugge
ma rifugge fulmineo,
ritorna il destato pensiero
di un amore rubato

In Riva al Mare

di Gioja Pietro – Palermo, Primo Classificato

Luci ed ombre s’intrecciano sullo sfondo di un cielo notturno sul mare, come le alterne vicende della vita dell’uomo che deve sottostare ad un comune destino già segnato.
Per aver descritto con intensa espressività, universalizzandolo, il momento della riflessione dell’uomo su se stesso e sulla propria vita.

In riva al mare
vidi stelle
sorgere lucenti
e oscuri segni
in lontananza
veleggiare
verso destini incisi
su atlanti universali

06/10/07

Premio Agorà 2007

Sezione Poesia a tema libero
Primo Classificato: Gioja Pietro – Palermo con "In riva al Mare"
Secondo Classificato: Ingemi Andrea - Messina con "senza titolo"
Terzo Classificato: Scalia Marinella- Augusta (SR) con "Il mio dire è per te"

Sezione Racconti
Primo Classificato: Caruso Francesco – Tusa (Me) con "L’ultimo assist"
Secondo Classificato: Maddalena Roberta - Siracusa con "Nel silenzio della mia anima"
Terzo Classificato: Fringuelli Sandra - Perugia con "Viaggio profumato"

Sezione I Conti Corti
Primo Classificato: Lurini Maria – Maddaloni (CE) con "Angeli"
Secondo Classificato: Maddalena Roberta - Siracusa con "L’odore del caffé"
Terzo Classificato: Rovini Maurizio - Pisa con "Un giorno diverso"



Rassegna Stampa

Premio Xifonia 2007

Premiati: Tuccio Musumeci (video) e Fra'Matteo Pugliares