09/10/07

Viaggio profumato

di Fringuelli Sandra - Perugia, Terzo Classificato

Tra i vari tipi di memoria, quella olfattiva riesce, attraverso il ricordo degli odori, a riprodurre nella mente esperienze passate collocandole nello spazio e nel tempo. Questo accade alla protagonista del racconto che, chiudendo gli occhi, si lascia condurre attraverso un viaggio intimo e “profumato”.
Per aver raccontato come, attraverso il ricordo degli odori, si possa ripercorrere il passato.

Sabato pomeriggio di un tiepido e delizioso maggio. Sono sdraiata in giardino la pagina del test della rivista femminile che sto distrattamente sfogliando dice: “scopri che tipo di memoria hai”. La prima domanda recita: “qual è il primo ricordo legato alla scuola?”. Mi sorge un sorriso divertito sulle labbra, perché la risposta immediata è: “l’odore di muffa del libro di geografia”…è proprio così, i miei ricordi si appoggiano più sull’olfatto che sulle immagini… e mi trovo immersa nella memoria dei miei profumi, la mente si lascia portare su percorsi di aromi antichi, gli occhi si sono chiusi istintivamente come inebriati dalle essenze che salgono da ricordi lontani, il profumato viaggio è iniziato… mi conduce indietro, all’infanzia, afferro l’odore del pastone per il ripieno dei tortelli toscani che faceva mia nonna: quella spezia, forse cannella o noce moscata, da bambina mi faceva prudere il naso, e la mia mano di oggi, come se un granellino lanciato dalla fionda della memoria mi raggiungesse, si stropiccia il naso. Resto ad occhi chiusi per continuare il viaggio, la casa della nonna nella maremma toscana è intrisa di numerosi e odorosi inquilini. Quello dell’Acqua Velva massaggiata dallo zio sulla sua pelle appena rasata. L’odore di fresco, di primavera e di baci dati con la pelle liscia ad una bambina che s’imbratta con la soffice schiuma da barba. Sento gli zoccoli del ciuchino che sta salendo sul ciottolato sotto casa, acchiappo l’odore di stallatico, di erba tagliata di fresco che dondola sui cesti della soma, di cuoio impregnato di sudore che striscia sul pelo, non riesco ad affacciarmi sul davanzale, lo zio mi alza da dietro, saluto il ciuchino mentre l’odore intenso del basilico sul vaso mi fa starnutire. Dal salotto adoperato come dispensa, arriva l’aroma di uova e zucchero delle “pastine”, piccoli dolcetti secchi fatti in casa cosparsi di farina: mangiarli trasformava tutti in dei piccoli clown dalle labbra bianche. Ma dopo colazione si va a giocare, la palla è in cantina….mmhh, odore di umido, di corde impolverate, di cuoio consumato, di funghi lasciati a seccare, di funghi che sporgono dalla legna ancora fresca che ci scalderà il prossimo inverno, odore di sughero bagnato dal vino e di posa di vino nelle damigiane panciute, penso alle spalle possenti che le sorreggevano, le spalle di quel nonno che non ho mai conosciuto ma ho nel naso l’odore dei suoi vestiti conservarti nell’armadio, la naftalina penetrante, la fida lavanda e la mano morbida di mia nonna che sfiora delicatamente quei ricordi. Quella mano porta con sé l’aroma dell’amore, che sa di talco e di violetta. Nel mio viaggio all’indietro è arrivata la sera, ecco l’odore rassicurante dei ceci con i tagliolini fatti in casa: pastosi, morbidi, cremosi come il loro aroma, la mamma me ne versa un poco alla volta nel piatto affinché non mi bruci, assaporo il profumo del parmigiano appena grattato mentre il babbo me ne porge un pezzetto, con le dita carnose di bambina paffuta afferro le briciole rimaste sulla tovaglia: mi gusto la minestra e la serenità che profuma di casa di quei momenti. E’ notte: l’aroma dell’infuso di malva selvatica lasciato a raffreddare si insinua nel naso, preferisco l’odore morbido del miele sciolto nel “latte della buonanotte”, così lo chiamava mio padre che mi invitava a berlo prima di caricarmi sulla schiena per portarmi a letto. Un bacino, le coperte e posto il nasino che afferra l’odore della “Cera di Cupra”, rivedo i movimenti sicuri ed energici di mia madre su viso e collo, poi è la volta della crema alla glicerina per le mani e quindi l’aroma del mio cuscino che sa di pulito, di buono, di giorni perfetti di un’infanzia assolata. Al mio risveglio incontro l’odore della “schiaccia “ toscana quel sapore di focaccia di cui ho ancora nostalgia, le mie manine unte e infarinate che imbrattavano ogni cosa che toccavano, gli occhi intrisi di sonno eppure vivi su quei giorni casalinghi, intimi, spensierati, industriosi e felici… felici d’una pace che funge da gran serbatoio di poesia a colui che l’attraversa avendoli vissuti.
Rientro dal viaggio e gli occhi si sono inumiditi, il sorriso sulle labbra è quieto e sereno, la memoria è ancora immersa nei profumi di quell’intimo ricordare, mi beo di queste sensazioni e rifletto che da bambina vivevo in quella casa della Maremma toscana per due mesi l’anno, pochi rispetto alla casa di Perugina, ma qui mi sentivo “grande”, non una “città” come dalla nonna, ma una bambina. “Città” è una parola che non conosce solitudine, evoca la familiarità, un’infanzia perpetua: la casa della nonna era il luogo della libertà di essere piccola, di esserlo sempre, di esserlo ancora. “Città” era mia madre per mia nonna, io per mia madre, “citti” io e mio fratello … oh, si, questa parola non conosce solitudine. Ma il mio naso non soffre di nostalgia e non è mai pago di afferrare l’essenza di ogni momento, e così è subito catturato dall’aroma intenso del gelsomino in fiore che rampica sulla parete del vicino, ma è lo stesso profumo che c’era nel giardino della pensione “Onda Marina” di Fano…. Mmhh, odore di pesce alla griglia, di conchiglie sulle mani, di crema solare, di vacanze da bambina… gli occhi si chiudono per un altro odoroso viaggio.

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