17/11/98

San Francesco e il Nobile Cavaliere

di Fedel Franco Quasimodo, Terzo Classificato

L’autore esprime con uno stile narrativo la rilevazione di Dio alle creature umane. Ciascuno percepisce l’esistenza di Dio attraverso l’esistenza dell’anima che dà la stesa vita al sordo e al cieco. E se uno la immagina, non la sente, l’altro la sente, non la vede, ma entrambi hanno la stessa percezione. L’autore con una introspezione interiore, di natura esistenziale e pure filosofica, prende consapevolezza che Dio si svela per mezzo di uomini profetici che bisogna riconoscere: Francesco è uno di questi

San Francesco fu un uomo collocato, indiscutibilmente, in un posto di spicco, nel firmamento agiografico nazionale e mondiale. Un essere depositario di moltissime e incommensurabili virtù. Il rinnegamento radicale dei beni terreni; la pratica assidua dell’orazione; l’umiltà sovraumana, vestita di un sacco ruvido e non morbido; l’elemosina, distribuita a chiunque gliela chiedesse, soprattutto se il questuante la implorava “in nome di Dio”. Queste ed altre qualità lo resero un vero emulo di Cristo, perché totale realizzatore della perfezione evangelica.
In quel tempo, Francesco, percorreva a piedi scalzi, privo di denaro e di bisaccia, un impervio sentiero.
Doveva raggiungere Assisi. Strada facendo, si imbatté in un cavaliere. Costui, il conte Moroni, era proprietario di una vasta tenuta terriera, a Spoleto. Spesso e volentieri, in quella zona, amava fare le sue passeggiate col suo nero destriero.
Moroni era un empio e bestemmiatore; sposato con una donna, da lui amata, anzi trattata come una sguattera. Aveva due figli che lo rispettavano perché lo temevano; essi vedevano in lui un padre – padrone, un duro aguzzino.
Moroni, abbigliato di una mantella purpurea e calzante scarpe regali, aveva fama di essere sbruffone ed irriverente specie con i deboli. Fermò Francesco e proferì: “Ti riconosco, sei il figlio di Bernardone; ho saputo che hai rinunciato all’eredità paterna e hai restituito a tuo padre tutti gli averi. Sei un pazzo, un inetto. Cammina pure senza bisaccia; morirai di fame e di sete. Addentrati nel sentiero, come quel cane randagio che sei: le spine taglieranno i tuoi piedi nudi e delicati”. Poi ridendo e schiamazzando si allontanò.
Francesco non aveva risposto alle provocazioni di Moroni, alle sue gratuite insolenze. Pregava Iddio, affinché quel peccatore si ravvedesse; non nutriva il minimo rancore. Era convinto che gli insulti lo spingessero a correggersi, le lodi ad esaltarsi. E Francesco cercava l’encomio di Cristo ed il disprezzo del mondo.
Passarono sei mesi; Francesco si trovò a ripercorrere lo stesso sentiero, per raggiungere Assisi.
Ma mentre era prossimo al centro abitato, incontrò un uomo, lacero, sporco, trasandato. Le fattezze del corpo recavano i chiari sintomi della lebbra: il volto devastato, le braccia cosparse di ulcerazioni purulente.
Francesco riconobbe quel misero: era il conte Moroni!
Nei sei mesi precedenti, il nobile aveva subito cocenti disfatte: perso al gioco e alle scommesse parte degli averi; aveva infine, dilapidato tutto il suo patrimonio in sontuosi banchetti e con donne di facili costumi.
Francesco, avvolto nella veste della divina pietà, si tolse la sua povera tonacella e gliela offrì. Inoltre, forte della fede incrollabile in Cristo, baciò quelle piaghe, traboccanti di pus. Esse d’incanto scomparvero. Il conte, fece per inginocchiarsi e baciare i piedi di Francesco; quegli arti che Moroni aveva offeso in maniera vile e malvagia. Ma Francesco glielo impedì; lo invitò a seguirlo, ad essere paziente nelle tribolazioni; costante nella preghiera; prudente nel parlare, grato dei benefici.
Disse, inoltre, che per contemplare con gioia il Diletto, occorreva essere severi con se stessi, infinitamente comprensivi nei riguardi del prossimo.
E nel suo itinerario di perfezione spirituale, San Francesco, ardente di passione celeste e pieno di fervore nella diffusione dei precetti evangelici, aveva realizzato due capisaldi del discorso delle beatitudini: Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia; Beati i poveri in Spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli!

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