16/11/00

La Scelta

di Rizzo Angela di Mazara del Vallo (Trapani), Seconda Classificata

L’autrice, in un perfetto parallelismo confronta la scelta libera del giovane Francesco con quella di un giovane del nostro tempo. Giulio in una notte di riflessione e ricerca, capisce che non devono essere gli altri a programmare il suo futuro, e decide che la vita và vissuta in modo autonomo e che vale la pena di sperimentare in prima persona le fatiche della quotidianità per cercare la vera via da seguire.

Giulio tornò a casa all’alba e si mosse con cautela all’interno della villa, salendo in punta di piedi la scala che conduceva alle stanze da letto, per non svegliare i genitori. Si svestì rapidamente e s’infilò sotto le coperte, stanco e con le tempie doloranti per l’abuso di superalcolici e di sigarette. Il ritmo assordante della musica pulsava ancora nel suo cervello e davanti agli occhi saettavano le fantasmagoriche luci intermittenti della discoteca che eternavano, per una frazione di secondo, espressioni grottesche, sguardi vuoti, movimenti inconsulti…

Francesco salì prudentemente gli scalini di pietra che conducevano alla sua camera. Il vino era corso a fiumi nella taverna, in cui i vecchi amici avevano festeggiato il suo ritorno dalla battaglia contro Perugia. Assisi era illuminata dalle prime luci dell’aurora, quando si rannicchiò nel letto, coprendosi gli occhi con le confortevoli coltri. La nausea gli provocava un malessere insolito, causato non dall’ubriachezza ma dal ricordo dei lazzi volgari che non suscitavano più in lui alcuna allegria…

Giulio si laureò in Economia e Commercio con una mediocre votazione. I genitori organizzarono in suo onore un sontuoso ricevimento, felici di potere finalmente inserire il figlio nel mondo del lavoro. Avrebbe seguito le orme del padre, proprietario di una piccola ma avviata industria di maglieria, che esportava prodotti in buona parte dell’Europa. Giulio l’avrebbe diretta e il diploma di laurea avrebbe conferito un impronta più dignitosa al suo ruolo…

Francesco tentò nuovamente la carriera delle armi ed intraprese il viaggio verso la Puglia dove si sarebbe unito alle truppe di Gualtieri di Brienne, ma quando giunse a Spoleto decise di tornare indietro. Fu accolto con gioia dai Genitori Pietro di Bernardone e madonna Pica, che avevano predisposto per lui la prosecuzione dell’attività del padre, ricco commerciante di panni…

Giulio andò, alcuni giorni dopo, a visitare l’industria in compagnia del padre. La ricordava quando, bambino, vi si recava talvolta insieme con la madre, ma l’immagine che ne conservava era sbiadita e lontana, essendogli rimasto impresso solo il circostante prato della periferia in cui essa sorgeva, con i tulipani rossi e le timide margheritine che spuntavano tra i ciuffi di erba umida. Il verde era scomparso, sostituito da un’area asfaltata, intasata da biciclette e utilitarie, al centro della quale si ergeva uno squallido casermone grigio.
L’interno della fabbrica rimbombava dell’assordante e continuo rumore delle macchine, davanti le quali erano sedute prevalentemente donne, i cui corpi erano mortificati da camici scuri e i volti omologati dalla monotonia del lavoro.
Il padre lo condusse orgogliosamente, attraverso una stretta scala, al piano superiore dove si trovava quello che sarebbe divenuto il suo ufficio: attraverso una finestra si osservava un panorama dominato da ciminiere che esalavano al cielo un opprimente fumo grigiastro, la parete opposta era costituita da un pannello di vetro, che consentiva la visione della sottostante sala di lavoro. Giulio evitò di guardare il padre, ascoltandolo esaltare i vantaggi del lavoro che avrebbe intrapreso, e la gola gli si serrò in una morsa di angoscia…

Francesco aveva ripreso pienamente le forze dopo la fatica del viaggio, quando il padre lo condusse nella tintoria. Era un locale seminterrato, cui si accedeva attraverso alcuni gradini sconnessi, in cui il fumo degli enormi contenitori che servivano alla colorazione dei tessuti creava un’atmosfera infernale, resa più allucinante dai litigi degli operai e dalla sporcizia che impregnava i loro miserabili abiti. Erano uomini e donne, la cui età era stata resa indecifrabile dalla fatica, con i lineamenti contratti da un ‘espressione stolida e ottusa, i movimenti automatici, i corpi impregnati di vapore e sudore.
Pietro di Bernardone spiegava al figlio la tecnica con la quale le stoffe venivano tinte, poi stese all’aria e quindi arrotolate meticolosamente, pronte per essere vendute. Con un ampio gesto del braccio, indicava l’insieme di quel luogo sordido, in cui si affaccendava un ‘umanità diseredata e defraudata della propria dignità. Una strana vertigine lo fece barcollare e li annebbiò la vista, spingendolo a guadagnare l’uscita per respirare l’aria libera. Sugli stretti scalini si scontro cou un vecchio operaio, le braccia cariche di tessuto, che si scostò paurosamente e poi gli sorrise con deferente rispetto, aprendo la povera bocca sdentata,. Francesco lo abbracciò di slanciò e singhiozzò come un bambino, il volto nascosto sulla scarna spalla del lavoratore.

Quella notte, Giulio non dormì e si voltò e rivoltò nel letto in preda all’ansia. In realtà, non aveva mai soffermato il pensiero sul futuro che lo attendeva e che altri avevano preparato per lui. Era stato allevato nel culto di valori banali ed esteriori, avvertendo un’insoddisfazione sotterranea serpeggiare nel suo inconscio, subito esorcizzata con un vitalismo estenuante che lo lasciava prostrato. Da adolescente, frequentava la chiesa di padre Luciano ed assaporava la dolce spiritualità che emanava dalle parole dell’anziano sacerdote. Il pungente odore dell’incenso, dei fiori e della cera bruciata delle candele lo stordivano, procurandogli meravigliose sensazioni di benessere. Aveva composto delle poesie ispirate all’amore evangelico e le aveva accuratamente trascritte nel piccolo diario. Quando i genitori lessero i versi, lo allontanarono gradualmente e con discrezione dalla parrocchia, temendo che venisse deviato dal cammino che avevano già tracciato per lui. Improvvisamente si alzò, si rivestì frettolosamente e preparò una piccola valigia. Lasciò in vista un biglietto in cui comunicava la sua decisione di trascorrere alcuni giorni presso amici di una vicina località. Roberta e Fabio, che da molti anni non aveva più frequentato, gli avrebbero offerto il rifugio necessario per riflettere…

I rintocchi della campana avevano già annunciato da tempo la mezzanotte e Francesco, pieno di inquietudine e di incertezza, percorreva avanti e indietro la propria camera. Stralci di una vita superficiale e dissipata emergevano alla mente, trascinandolo nel vortice dell’abisso di una colpevole inettitudine. Aveva trascorso gli anni della giovinezza, dedicandosi oziosamente e di malavoglia allo studio di un po’ di latino e di francese, semplicemente per compiacere la madre.
Si era dedicato ai bagordi, ben vestito e con la borsa tintinnante di sonanti monete, inconsapevole della misera condizione di gran parte dell’umanità.
Aveva cantato e riso spensieratamente ed aveva abbracciato la carriera militare, per un breve periodo, non per seguire un ideale ma per il puro gusto dell’avventura, che avrebbe colorito la sua esistenza pigra e viziata.
Come in preda al delirio, mise insieme un piccolo bagaglio e si ritrovò fuori dalla casa paterna sotto un immenso cielo sereno e stellato. S’incamminò respirando a pieni polmoni la frizzane aria autunnale, ascoltando i lontani latrati dei cani e lo stormire delle foglie.
Si fermò soltanto quando fu giunto davanti alla chiesetta di S. Damiano, ai piedi del Subiaco…

I genitori di Giulio si misero in contatto telefonico con tutti gli amici del figlio e, quando lo rintracciarono, stentarono a riconoscere la sua voce dall’altro capo del filo. Dal suo timbro, infatti, emanava una sicurezza e una pacata calma che non gli riconoscevano. Espose, con un tono che non ammetteva repliche, la decisione di vivere in modo autonomo, imparando la fatica della quotidianità e cercando la vera via da seguire. Non aveva bisogno di denaro, aggiungeva, perché sarebbe stato in grado di guadagnarlo con il suo impegno…

Quando Francesco ritornò ad Assisi, dopo un mese di ritiro, dovette affrontare la furia del padre, il quale arrivò al punto di citarlo a giudizio per il suo comportamento irresponsabile. Davanti al vescovo e alla folla riunita, il giovane si spogliò degli abiti che indossava, ne fece un mucchio che depose ai suoi piedi. Volse intorno a sé uno sguardo, la cui espressione manifestava una scelta così elevata da frapporre una distanza incolmabile fra sé e gli altri. Nudo, come Dio lo aveva creato, si voltò e s’incamminò verso il mondo.

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