16/11/99

La Luna Bavarese

di Bruno Longanes San Giuliano Milanese (Modena), Primo Classificato

Nel racconto, l’autore, riproponendo un episodio della II guerra mondiale, e considerando lo stato di miseria e di fame in cui si trova, si imbatte, durante una sortita per andare a cercare cibo e medicine, in una notte fredda imbiancata dalla neve e illuminata dalla luna, con un giovane soldato nemico ferito e lasciato a morire dai compagni. Il dialogo che intrattiene e lo stato d’animo con cui è vissuto dall’autore protagonista dimostrano nella drammatica situazione, la grande capacità di solidarietà e di pietà.
Il nemico è amico e il perdono e l’amore non conoscono rivali.

Aveva nevicato fino al giorno prima.
Era cominciato presto l’inverno
Molta neve era caduta in Romagna fin da prima di Natale.
Faceva molto freddo quella sera del 1 febbraio 1945.
Avevo un presentimento: non volevo uscire nella notte, c’era qualcosa in me che non mi esortava a fare la normale sortita.
Altre volte mi era capitato di provare questa sensazione ma, come al solito, decidevo rapidamente per il sì.
Anche quella sera quindi mi preparavo per uscire a notte inoltrata.
Era necessario.
Per uno strano gioco del destino, la guerra iniziata in paesi lontani fin dal 1939 si era man mano avvicinata all’Italia, poi da tre mesi, per motivi militari e strategici non bene comprensibili, si era fermata addirittura a Bagnacavallo.
Era diventato un logorante conflitto di Posizione, che aveva imposto ai due eserciti belligeranti una comune “terra di nessuno” localizzata fra la stazione ferroviaria di Bagnacavallo e il fiume Senio.
Un paio di chilometri dove i contendenti si battevano per una supremazia del tutto contingente.
Questo stato di cose aveva portato la popolazione civile del luogo allo stremo.
Vivevamo come le bestie, pigiati in rifugi di fortuna improvvisati privi dell’essenziale come luce, acqua, giacigli, servizi igienici.
Nulla!
I viveri e i medicinali erano scarsissimi e bisognava per forza di cose arrangiarsi.
Ecco il motivo delle sortite notturne: trovare viveri fra le macerie e fra i combattenti deceduti, perchè ogni militare aveva in dotazione un pacco medicinale di pronto intervento e una razione di viveri di scorta.
Due ambiti bottini da depredare ad essere umani che non avevano più queste necessità!
Era quindi opportuno che uscissi anche quella sera, tanto più che non mi toccava il turno di riposo.
Nella cantina adibita a ricovero c’erano delle lunghe panche.
A turno per dormire ci si sdraiava sotto, su una lettiera di strame e paglia.
Chi non riposava sedeva sulle panche.
Le gambe di questi facevano da sponda al giaciglio di chi dormiva!
Non nevicava più, anzi era una bellissima nottata.
Era plenilunio e le nuvole alternavano il chiarore latteo della luna a improvvise oscurità.
Una sera adatta per andare a “caccia” in quanto, con il plenilunio, le azioni di pattuglia dei due contendenti erano ridotte al minimo.
Faceva freddo questo sì, ma la temperatura rigida era il nemico meno pericoloso.
Poteva addirittura considerarsi un alleato, poiché il termometro costantemente sotto lo zero rendeva più igienico il… lavoro cui mi accingevo.
La Luna e il riverbero della neve davano un aspetto spettrale a questa tormentata terra di nessuno dove tutto era stato distrutto.
Sembrava una landa completamente abbandonata, un deserto candido.
Eppure migliaia di uomini erano concentrati in trincee, buche, camminamenti e anfratti con occhi vigili, pronti a scontrarsi in furenti combattimenti. In apparenza era una nottata calma, una di quelle notti in cui i soli tiri di intercettamento e di sbarramento disturbavano le pattuglie o il sonno dei contendenti.
Uscii tranquillo.
Ormai era diventato una specie di esaltante gioco, una apparente caccia di disinvolto impegno sportivo.
Era un gioco pericoloso?
Certo!
Ma lo spirito di adattamento dell’uomo era impensabile!
Tanti mesi di fronte in primissima linea avevano assopito ogni paura e ogni remora morale.
E poi l’incoscienza, la sconsideratezza e l’irresponsabilità dell’età, avevano avuto il sopravvento sulla residua ragionevolezza.
Mi diressi carponi sulla direttrice della linea ferroviaria Bagnacavallo – Lugo.
Di questa linea restava solo il ricordo del tracciato: binari e traversine erano stati tutti asportati dai civili e dai militari per rafforzare i luoghi di riparo a difesa.
Andavo molto circospetto in quella calma irreale.
Non c’era da fidarsi troppo!
In lontananza sentii una sparatoria.
Colpi di armi da fuoco leggere: mitragliatrici e armi in dotazione individuale.
Piccole scaramucce nelle vicinanze delle rive del Senio.
Erano passati non più di dieci minuti quando sentii tre botti secchi, inconfondibili per orecchie esperte: colpi di artiglieria in partenza.
Una frazione di secondo e il classico sibilo: erano in arrivo, vicinissimi i proiettili.
Mi misi in protezione.
Rannicchiato, premendo nel terreno come per penetrarvi, con il corpo e le mani al riparo dagli organi vitali, aspettai un attimo.
Tre lampi squarciarono la notte seguite da tre violentissime esplosioni.
Rimasi immobile per un paio di secondi in modo che il ventaglio di schegge e di materiale vario scaraventato dall’esplosione si assestasse.
Aspettai ancora un paio di minuti sul posto senza muovermi.
Silenzio assoluto.
Senza dubbio erano stati tiri di intercettazione e per un po’ ci sarebbe stata tranquillità.
Si poteva proseguire.
Avanzai guardandomi attorno.
C’era poco da cacciare!
Forse era una nottata infruttuosa, una sortita inutile.
Bisognava comunque tentare ancora, proseguire ulteriormente.
Le orecchie allenate, percepirono un leggero rumore.
Una nuvola nascondeva la luna, era abbastanza buio!
Il terreno circostante non presentava grossi ostacoli alla vista, ma non percepivo più il brusio e non vedevo nulla che giustificasse la mia apprensione.
Improvvisamente alle mie spalle sentii distintamente qualcosa che disturbava quella quiete.
Era un brontolio continuo ma non riuscivo a capire di che si trattasse.
Trattenni il respiro.
Restai immobile.
Meno male che c’era quella nuvola!
Ad un tratto mi apparve alla vista un cane magro, sfinito, che faticava a farsi strada in tutta quella neve.
Forse non mi vide, forse non mi fiutò.
Andava avanti barcollando.
La fame doveva avergli fato perdere anche il senso olfattivo e il senso di orientamento.
<< povera bestia>> pensavo e in quel momento non mi rendevo conto che eravamo tutti e due in quel posto per lo stesso motivo.
Ci ignorammo a vicenda.
La situazione paradossale suscitò in me un senso di ilarità e di esaltazione.
Perché poi?
Stati d’animo che è difficile valutare a distanza di tempo e in situazioni normali.
Pensando ancora a quel cane mi chiedevo, quasi a continuare il gioco: << Chi sarà più fortunato di noi due?>>.
Alcuni razzi traccianti mi richiamarono alla realtà.
Cosa significavano?
Avvertimenti a pattuglie?
Segnali di imminenti attacchi?
Non potevo farci niente!
Continuai ad avanzare senza una meta precisa.
Ad un tratto vidi alla mia destra una massa scura che contrastava con il candore della neve.
<>.
Mi avvicinai con prudenza perché di solito nelle buche prodotte dai colpi di artiglieria si attestavano le pattuglie per sorprendere gli avversari o per riposare.
Non mi sbagliai.
Era effettivamente un cratere determinato da una granata e ai suoi bordi qualcosa si muoveva sia pure impercettibilmente.
Mi sembrò di sentire un sommesso richiamo.
Restai incerto sul da farsi.
In simili situazioni subentra una ridda di contrastanti impulsi.
Con molta cautela mi portai un po’ più vicino.
In quel momento la luna risplendeva in cielo non adombrata da nubi e vidi chiaramente qualcosa che spiccava nella neve.
Era un specie di… no… no… era una forma umana!
Immobile, ma aveva l’apparenza di una persona accovacciata.
<> (come eravamo ridotti!).
Aveva una tuta mimetica bianca di foggia tedesca, caratteristica delle pattuglie in ricognizione.
Con grande commozione mi accorsi che non era morto.
SI vedeva la tuta sollevarsi aritmicamente.
Respirava!
Era prono.
Lo presi con una certa delicatezza e lo misi in posizione supina.
<> - dissi a me stesso.
Aveva un viso adolescente pallidissimo, terreo, esangue.
Respirava a fatica ma senza lamentarsi.
Mi guardava fisso, era perfettamente cosciente.
Lessi nei suoi occhi una espressione di paura, non di dolore.
Capii al volo.
Aveva visto che ero un civile!
I Tedeschi, specie nella linea del fronte, temevano molto i civili.
I loro capi li avevano catechizzati affinché fossero sempre vigili, che tutti i civili erano partigiani, ostili ai Tedeschi, “ribelli” li chiamavano o addirittura “Banditen”, banditi!
Ecco il motivo del terrore.
Lo tranquillizzai subito dicendogli << Ich bin ein Freund (sono un amico)>>.
Mi guardò sorpreso.
Sgranò gli occhi ma non riuscì a sorridere.
<> - ripetei.
Vidi subito che era gravissimo.
Aveva ancora l’elmetto e la tuta mimetica allacciata in cintura.
Dove era ferito?
Sulla parte superiore del corpo non c’era traccia di sangue.
Ma appena vidi le gambe che penzolavano sulla buca del cratere intuii la situazione.
Una grossa scheggia l’aveva colpito all’altezza del femore e del bacino.
Certamente aveva reciso un arteria.
Tutto attorno alla ferita c’era una grande macchia rossa, resa ancora più evidente dal candore della neve.
Aveva perso molto sangue.
Stava dissanguandosi, anzi era ormai alla fine.
Non sapevo cosa fare.
Gli tolsi l’elmetto.
Apparve una testa di capelli biondi arruffati.
Non sembrava il prototipo del soldato tedesco, con la rasatura dei capelli molto alta.
Forse al fronte certe impronte prussiane erano state messe al bando.
Aveva gli occhi azzurri, un viso magro, scarno, emaciato.
Lineamenti molto regolari.
Chissà perché vidi in lui una vaga rassomiglianza con me.
Gli slacciai il cinturone della tuta.
GOT MIT UNS (Dio è con noi –rea scritto su tutti i cinturoni dei militari dell’esercito tedesco-) stava scritto sull’attacco della cinghia.
<< Come hai bisogno di Dio in questo momento >> - pensai rapidamente.
Aveva una piccola cicatrice sulla fronte, una cicatrice recente ma era evidente che non si doveva trattare di un postumo riguardante un fatto di guerra.
Forse un incidente di gioco di poco prima, con ragazzi suoi coetanei.
E per questo, involontariamente, la mia prima domanda fu banale, sciocca, inopportuna in quel frangente.
>> Wie alt sind Sie? (Quanti anni hai) – chiesi.
Mi rispose con un filo di voce:
<>.
Mio Dio! La mia stessa età diciassette anni!
Come era tragico il destino in quel momento.
Immaginai le parti invertite.
<< Wie geht es Ihnem (Come stai)?>> - domandai mentre gli passavo una mano sotto il capo per sollevarlo un attimo.
Esitò, poi <> - rispose cercando di farmi capire che conosceva la sua gravità.
Cercai di persuaderlo che non era una cosa grave, anzi.
Gli chiesi il suo nome
Mi rispose <>.
Mi disse anche che era nato a Augsburg in Baviera.
Un attimo di silenzio poi quasi vergognoso disse un paio di volte:
<>.
Aveva sete.
Non avevo acqua con me.
Presi un po’ di neve e gli strofinai ripetutamente la bocca.
Mi ringraziò con un pallido sorriso.
La luna illuminava la scena.
Sembrava ancora più rilucente, più luminosa.
Notai che la fissava.
La guardai anch’io.
<> - mi disse e poi subito <> per farmi capire che sapeva qualche parola di italiano.
Forse non soffriva più.
Il dissanguamento cominciava a produrre i suoi effetti lenitivi mitiganti il dolore.
Era comunque la fine.
Respirava sempre più debolmente.
Vedevo che voleva parlare ancora ma non riusciva più ad esprimersi bene.
Riuscii a capire certe parole: <> <> <> - <>.
Intuii che voleva connettere un discorso completo, ma ormai non era più in grado.
Fissava sempre la luna!
<> - ripeteva con un filo di voce.
Sempre per intuizione, cercai di assemblare le parole.
La luna, Isolde: chi poteva essere se non la sua ragazzina?
Augsburg, la sua città in Baviera.
Cosa gli passava per la mente in quei terribili momenti?
La spiegazione che diedi era la più ovvia.
Avrà pensato, guardando la luna, a quante volte insieme ad Isolde l’avevano ammirata forse abbracciati teneramente, nella loro città di Augsburg in Baviera.
Era la stessa luna che in quel momento illuminava la casa dove Isolde dormiva ignara.
Forse pensava a lui o, nel sonno, lo sognava!
La luna che nello stesso momento illuminava la sua Baviera!
Una luna italiana, ma anche bavarese!
Non so che cosa succedesse.
Ebbi un attimo di smarrimento forse di paura, di sgomento, di terrore o di commozione.
Tanti anni sono passati da allora e il ricordò è sfumato.
Non volevo vederlo morire, questo era certo!
Feci un gesto risoluto quasi intuitivo quasi per rientrare in una cruda realtà, in quella cruda realtà!
Pensai di slacciare i bottoni della giacca per toglierli la piastrina di riconoscimento che ogni militare porta sempre con sé.
Avrei voluto conoscere il suo nome completo, le sue generalità il suo indirizzo e forse a guerra finita avrei potuto comunicare con la sua famiglia.
I bottoni erano già slacciati: la piastrina non c’era più.
I suoi camerati di pattuglia, vista l’impossibilità di trasportare un ferito così grave, l’avevano già tolta.
Era già morto per loro!
Un pugno nello stomaco non mi avrebbe indispettito di più.
Cosa potevo fare?
Ancora me lo chiedo.
Forse nulla potevo fare.
So cosa feci.
Lo chiamai: <>.
Mi fissò.
Non sapevo cosa dire, cosa potevo dire!
Gli raccontai una pietosa bugia.
Disse che andavo incontro ai suoi camerati e li avrei riportati da lui con un medico.
Gli dissi ancora che non era grave, che avrebbe rivisto Isolde, sicuro l’avrebbe rivista!
Sarebbe tornato nella sua Baviera!
Quante bugie dissi!
Lui ascoltava e sembrava capisse, anzi capiva, perché prima di lasciarlo mi sussurrò:
<>
Ero sbigottito, turbato, smarrito, sconvolto.
Dove andai?
Quanto mi allontani da lui ?
Non ne ho l’esatta percezione.
Ricordo che mi fermai in un ‘alta buca provocata dalla scoppio di una granata.
Ero al sicuro.
Una ridda di pensieri mi passò per la testa.
Non so più quali, ma terribili per un ragazzo di diciassette anni!
Ad un tratto ricordai il motivo della mia presenza in quel luogo.
Ero a caccia di medicinali e di cibo.
Raimund aveva con sé medicinali e cibo ma perdio! Come erano lontane quelle necessità ormai!
Dovevo rientrare
Ma non mi decidevo.
Guardavo la luna…
E Raimund? La vedeva ancora oppure…
Ero inchiodato in quella buca.
Non riuscivo ad uscire!
Cosa mi fece decidere?
Temo che il ricordo sia velato da fantasia o da immaginazione.
Ma giurerei che improvvisamente una grossa nube oscurò la luna.
Un attimo solo, poi questa riprese a brillare più di prima.
Era quello che aspettavo?
Non so, forse sì!
Come un automa rifeci il percorso di ritorno.
Vidi in distanza il luogo dove avevo lasciato Raimund e ne vidi il corpo!
Mi avvicinai.
Era stranamente tranquillo.
Sapevo che lo avrei trovato così!
Gli occhi azzurri, rivolti al cielo e immobili per sempre, guardavano la luna con un’espressione di serenità.
Per pietà avrei dovuto chiuderli.
Per tenerezza li lasciai aperti.
Li lasciai guardare la luna la “sua” luna bavarese!

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