12/10/05

Solidarietà rifiutata palazzo di giustizia, secondo livello

di Romano Salvatore di Augusta, Terzo Classificato

Denunciare le estorsioni subite non sempre è facile e la fiducia nelle istituzioni spesso non mette a riparo dalla paura di ritorsioni, da una vita blindata che, ironia della sorte, toglie la libertà alla vittima che diventa preda della solitudine. Non sempre però scatta tra le vittime quel senso di solidarietà che nasce dalla consapevolezza di essere nel giusto e che dovrebbe creare attorno ad esse un cordone protettivo.
Per aver rappresentato la difficoltà dell’uomo che, provato dall’esperienza del violento ricatto, quasi a rimuovere la sofferenza generata dal ricordo di tale vessazione, non riesce ad essere solidale con chi ha provato la stessa traumatica esperienza.

Nel giorno in cui conobbi le morse dell’arroganza, conobbi anche la solitudine del giusto angariato dal disperato di turno a cui la vita negò la sua generosità.
Eravamo entrambi soli, ciascuno con le sue ansie, con i suoi diversi pensieri e le più malevole previsioni. Lui Il Giusto stava seduto in un angolo. Io, in preda al mio andirivieni, davanti al piccolo monumento istoriato da schegge di vetri colorati, dedicato alla memoria di chi morì ammazzato al deflagrare dell’odio implacabile.
Anche il sole con la sua violenta luce sembrava essermi nemico e non mi consolava con il suo tepore, anzi, fin troppo ingeneroso attraversava la grande vetrata per divertirsi ad illuminare il mio volto spento e la serenità del giusto, a svelare le nostre identità e il comune luogo di provenienza, che io inutilmente tentavo di nascondergli dal naso in giù dietro il bavero del cappotto.
sui marmi lucidi scorrevano i carrelli spinti dai frettolosi uscieri che come infermieri entravano e venivano fuori dalle aule, somministrando pandette e fascicoli fin troppo zeppi di carte bollate. Procedevamo agili, a volte calpestando indifferenti l’ombra colorata e allungata del monumento attraversato dai raggi di sole e proiettata sul pavimento.
Fluivano inutilmente veloci aprendosi la via nello statico movimento della giustizia, dribblando toghe nere, borse di lucido cuoio, carabinieri, pubblici ministeri, extracomunitari, giornali aperti e gente in cerca di diritti.
Dall’elicoide della scala sbucarono come due malerbe sicure di sé, i baldanzosi sopraffattori accusati dal Giusto per tentata estorsione.
Il Giusto mi guardò negli occhi, si alzò, mi venne incontro senza che io volessi e mi chiese: - Siamo dello stesso paese o mi sbaglio?
- Sì…- Gli risposi infastidito, volgendo lo sguardo sui palazzi prospicienti oltre l’invetriata.
- Conosce quei due?
E io mentendo a me stesso, inarcai le labbra chiuse e scossi la testa nel movimento negatorio.
- Sa che qui due mi hanno chiesto il pizzo?... Non si può più lavorare.
- Mi dispiace…
- “ Loro” sanno chi sono e di che vivono, però mi fanno venire qui come se io non avessi denunciato il vero. No … non conviene…
- Ha ragione … purtroppo… ci tocca venire qui…
Nel frattempo l’anziana madre che accompagnava i due disperati, s’avvicinò a noi con modo indifferente per sentire quello che ci dicevamo, per carpire qualche parola che le avrebbe consentito d’inveire contro di noi. Io, che intesi così il suo avvicinarsi, m’allontanai dal Giusto con la scusa d’andare a cercare la mia “borsa di cuoio lucido”, che tardava all’appuntamento vicino il piccolo monumento istoriato da schegge di vetri colorati, dedicato alla memoria di chi morì ammazzato al deflagrare dell’odio implacabile, lasciando così da solo quell’uomo onesto che s’era avvicinato con semplicità, solo per offrirmi la sua solidarietà.
Dopo qualche istante, provai vergogna per il mio timore e del mio comportamento

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