16/11/02

Afganistan

di Rovini Maurizio di Pisa, Secondo Classificato

La guerra, la fame, la miseria sono orrori, che diventano ancora più agghiaccianti quando li tocchi con mano e ti scuotono dalle tue certezze e dalle tue sicurezze.
Ritorniamo ad essere uomini.

“ Oggi ho visto i tuoi occhi morire, chiudersi nel volto sereno, piccolo.
Erano grandi, azzurri e tristi.
Stavano nascosti tra le braccia della madre, seduti tra le pieghe del vestito, tra il silenzio, nel sole forte. Solchi scavati dalla fame sui volti rassegnati, mosche volanti, polvere rossa, caldo soffocante.
Ero in Afganistan, nella mia vita tempestosa, ricca di capricci e voglie matte. Ero però lì, in mezzo a bambini scarni, rattoppati e vecchi, ero lì per mia scelta, per crescere, per capire se potevo servire a qualcosa, quasi per gioco.
Potevo essere in altri mille posti di questa Terra, sarebbe stato lo stesso, gli occhi di quei bambini sono tutti uguali; la miseria non ha confini e li dipinge sui volti piccoli come se fosse lo stesso pittore, la stessa mano, la riconosci sempre.
La mia avventura aveva portato il mio entusiasmo a morire davanti a quelle capanne piene di terra rossa, con le pietre da orizzonte. Ero alla prima missione ed ero preparato ma nulla al mondo esiste come lì, tutto è diverso, anche la morte lo è.
Bambini tra la polvere del camion correvano tra le ruote urlavano, gioivano; il pasto era giunto incuranti del resto, anche se la morte giungeva a pochi passi da loro.
La mia gioia nel donare, l’entusiasmo nello strappare un sorriso, la felicità semplice di far del bene, poi ho incontrato la tua piccola sagoma rannicchiata nella capanna, bambino mio, e tutto il mio sogno è finito lì.
E’ il mio pianto che non ho più trattenuto, è la rabbia di non poter fa più nulla, per non essere venuto prima.
La mia mano di sfiora lentamente, piano piano. Perché Dio? Perché? Dov’è la tua carità? Che male così grande avrà commesso mai questo bambino?
Cielo, quanto è lontano il mio paese, quanto vorrei che mio figlio capisse quello che possiede, il cibo nel piatto, la vita che fa.
Vedesse il nulla che hanno quaggiù, con quanto poco avrei potuto salvare una vita. Chino la testa per piangere ma la donna sorride, il bambino mi attendeva e non posso che sorridere.
Tu non hai più la forza di nulla, mi guardi soltanto e i tuoi occhi mi penetrano come mille lance, mi trafiggono l’anima, tolgono il respiro.
Il sorriso è il dono che mi offre la madre, ma tutto è finito per il suo bambino. Gli occhi si chiudono per sempre mentre il vento sabbioso copre tutto di rosso. Le mie orme, il mio cammino dal camion svanisce nel silenzio del vento, cado in ginocchio a capo basso e piango.
Penso alla mia colpa, la tua vita l’avrei potuta salvare con una semplice medicina, con poche cose che non costano più di un cd; mio figlio ne possiede un intero armadio.
Mi sento in colpa con tutti, sono grasso, ben vestito, istruito; non sono nulla davanti a quella donna che ha accetto il decesso senza dire niente, sorridendo.
Ero partito dalla mia città quasi per scommessa, un’avventura umanitaria che avrebbe cambiato la mia vita, così come ha fatto per molti altri come me.
Partendo, nella polvere alzata dal camion, la mano della donna si alzò e mi salutò. Nulla avevo fatto se non far credere al suo bambino che la sua vita sarebbe stata lunga, che tutte le sofferenze erano finite, con me.
Bambino mio, volare nell’erba ondeggiante al vento, correre sorridendo nel Sole dell’estate eterna, sognare come fa un bambino, vivere come un uomo; tu questo volevi fare.”
Ogni giorno penso a quegli occhi tristi,a quei bambini che ho visto morire per pochi denari, alla mia attività di volontario che ha spazzato la mia vita sentimentale, i miei risparmi. Non importa tutto questo, nulla è più importante di un bambino che ride felice.
Anch’io sono rimasto solo, nella mia solitudine fatta di attesa tra un viaggio e l’altro, tra i poveri di tutto il mondo, non sono mai più stato lo stesso, folgorato.
In quei giorni d’attesa, spesso, rifletto seduto in riva ad un tramonto, con il mare per unico amico.
Osservo l’onda frangersi e venirmi incontro toccata al Sole, lo stesso Sole di mille missioni. Allungo la mano come toccarla, come lavarmi, un’abluzione che porta con sé ogni scoria, ogni cattivo pensiero che l’alberga nell’anima mia.
Questa esplode in schiuma bianca, lasciandomi immerso nei dubbi; certo che non potrò mai fare abbastanza per il mondo. Abbasso la mano tesa, presa nella sabbia umida e urlo la mia rabbia al vento, furioso pensando al bambino dagli occhi azzurri del quale non ho mai saputo neppure il nome.

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