16/11/02

Un giorno nuovo

di Pizzo Antonella di Ragusa, Terza Classificata

L’incontro è casuale e fortuito, tra chi non ha più nulla da chiedere alla vita, e chi invece sta camminando sull’orlo del baratro.
La vita, nonostante tutto, vale sempre la pena di essere vissuta, fino in fondo

Si svegliò quando si svegliano i vecchi, prima che fuori facesse giorno. Era vecchio e dormiva pochissimo, quattro ore di sonno gli bastavano, di più non sarebbe riuscito a dormire. Dormono poco i vecchi ma dormono, ridono e piangono come tutti, provano gioie e dolori come quelli che non sono vecchi. SI mosse nel letto, facendo attenzione ai movimenti, era bravo e sapeva, per averlo imparato sulla propria pelle, come evitare quelli che gli che gli avrebbero fatto sentire dolore. L’artrite non gli dava tregua ma considerando la sua età non si lamentava. Concettina era morta molti anni fa, non aveva retto allo strazio per la perdita del figlio. Di questo figlio, l’unico che il Signore gli aveva mandato, Peppino aveva un ricordo chiarissimo. Gli bastava chiudere gli occhi per sentirlo cantare. Lo portava con se in campagna e quando erano stanchi si fermavano a riposare sotto un albero, bevevano un po’ di acqua fresca dalla brocca di terracotta e intonavano una canzone. La sera quando tornavano, Concettina apparecchiava la tavola, caciocavallo e salsiccia secca, oppure minestra di legumi e pane fatto in casa duro di tre giorni ma tagliato sottile sottile, da inzuppare per benino, nel liquido caldo e saporito fino a farlo diventare morbido. Ma nel corpo di quel figlio covava un male insidioso che lentamente lo consumò. Di un altro male si consumò per anni Concettina, di tristezza profonda, di dolore che strazia. Per ore stava seduta in cucina. Guardava fuori, la strada, i bambini che giocavano, gli alberi mossi dal vento e il cielo azzurro. Poggiato sul grembo il lavoro all’uncinetto. Il suo sguardo era spento ma a volte i suoi occhi avevano un guizzo, sembrava cercassero una via di scampo. Peppino tornava tardi dal lavoro e la trovava lì immobile. Anche quel giorno la trovò lì, come sempre, con il capo reclinato. Concettina aveva raggiunto chissà dove il suo figlio perduto. Sia fatta la volontà di Dio disse a se stesso e a Dio chiese la forza per continuare a vivere.
Pensava a loro in ogni momento della giornata e come sempre si struggeva. Ma ora era tardi e doveva sbrigarsi. Mise sul fuoco il pentolino con l’acqua, aspettò che bollisse e si preparò il suo caffè d’orzo. “Oggi è sabato” pensò, e si preoccupò perché l’unica corriera che portava al cimitero sarebbe partita a momenti e lui ormai era lento nei movimenti, aveva bisogno di molto tempo per prepararsi. “ Presto, presto, devo fare presto, la corriera non aspetta” si disse. Finì di bere il suo orzo e si preparò con cura, prese il basco ed il bastone e uscì di casa. Circa alla stessa ora, in una villa nascosta da una alta siepe di una specie assai rara, si alzò anche Marco. Con Anna, la moglie, era ai ferri corti, non si sopportavano e non si parlavano più, e quando lo facevano era solo per farsi del male. Da quando il loro patrimonio, a causa di speculazioni sbagliate, si era ridotto all’osso, Marco non si dava pace. SI chiedeva perché e che cosa avesse fatto di male per meritare ciò. Si era chiuso in se stesso, chiuso ed ottuso, nel proprio mondo popolato dal fantasma della povertà e del fallimento. Quella mattina uscì sbattendo la porta, scese in garage, mise in moto la sua macchina e sfrecciò via. “Basta” pensò, “non posso continuare a vivere in questo modo, questa volta la faccio finita, tiro dritto con la macchina e mi butto giù dal burrone”. Passò dal cimitero per chiedere perdono al proprio padre per il gesto estremo che stava per compiere.
Peppino aveva terminato la propria visita settimanale ai propri cari, aveva acceso i lumini, pulito le lastre di marmo, sostituito i fiori secchi. Cominciò all’improvviso a tuonare. “ E’ ora di andare, è meglio sbrigarsi” pensò, ma non aveva ancora finito di percorrere il vialetto che conduceva all’uscita, che già grosse gocce d’acqua cominciarono a cadere inzuppando il suo basco. Cercò di affrettarsi ma aveva paura di scivolare. Uscì dal cimitero e si accorse che la corriera era ripartita lasciandolo lì mezzo fradicio e affannato. Fu allora che Peppino vide quell’uomo, un bell’uomo, vestito bene, con la faccia seria.
“Mi scusi” disse, “potrebbe darmi un passaggio fino al paese?” Marco lo guardò senza battere ciglio “ci vada solo a quel paese” rispose, “io ho altro da fare”. L’uomo salì furioso in macchina premette sull’acceleratore e si sentì un verme. Ma che uomo era diventato, negare un passaggio ad un vecchio! Provò un gran disprezzo per se stesso. Tornò indietro. “Salga pure” disse, “e mi scusi per poco fa. Chi è venuto a trovare al cimitero?” Fuori continuava a piovere, mentre Peppino raccontava la sua storia “vengo al cimitero ogni sabato, sono solo al mondo e non servo a nessuno. Ma ho imparato con l’età che c’è una ragione per tutto, anche se noi non la conosciamo e che ogni giorno è un giorno nuovo”.
Arrivarono al paese. “Grazie” disse Peppino, “io non so come ricambiare la vostra cortesia”. “Oh se ha ricambiato!” rispose Marco, “lei non immagina quanto!”. Marco tornò a casa. Anna ancora dormiva, baciò sulla fronte. Svegliati Anna svegliati, presto, apri gli occhi, svegliati che oggi è festa. Svegliati che oggi è un giorno nuovo.

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