16/11/03

La Casa di Lui/Ella

di Natalia Becera Cano, Prima Classificata

Chiamarlo racconto, questo scritto, è riduttivo. Vi si intuisce anche un intento didattico, una lezione, percepibile da un pubblico di ogni età, la quale, affrontando il mistero della metamorfosi, qui seguita giorno dopo giorno nella vita di un anfibio, può essere traslata e indirizzata all’uomo in genere il quale, come nella Metamorfosi di Kafka, si trova a vivere talvolta momenti traumatizzanti ai quali è impossibile sottrarsi, e che tuttavia è necessario accettare come naturali. La gradualità attenua il trauma, ci lascia capire l’Autore, ma non si può ignorare che la Natura, quella del principio del principio del principio, non può subire impunemente violenza, essendo destinata a riprendersi la sua libertà, a scappare dalla finestra, a rifugiarsi in un luogo irraggiungibile dall’uomo.
Abbiamo detto che il racconto è essenzialmente didattico, scientifico, dove proprio la scienza corre con la fantasia, senza comunque farsi da questa sopraffare.


E’ difficile comunicare con voi, ma è la forza della verità quella che mi spinge a rompere le barriere dell’impossibile per dirvi che…
.. è bello ricordare come era all’inizio la mia vita, piena di acqua, luce, caldo e cielo. Prima all’inizio dell’inizio, la mia casa era una gran massa di liquido trasparente pieno di nutrimento e con tanto spazio che non avevo difficoltà a nuotare. Da lì, sopra la mia testa, nei momenti di chiarezza si vedeva la volta celeste azzurra; ma quando una cosa che sembrava una palla piatta di fuoco si nascondeva dietro le nuvole, o queste, non so per quale ragione diventavano nere, quello stesso cielo si faceva nerofumo.
Allora la mia acquosa casa, con il soffitto azzurro o nero grigio piombo, ed io eravamo un tuttuno. Se in essa succedeva qualcosa, qualcosa succedeva in me e , se dentro me cambiava qualcosa, in essa cambiava qualcosa.
Questa casa mia, quella del principio del principio, era anche costruita da rumori, da suoni, da silenzi, da mormori, da canti, da sussurri. Era bella. A momenti i canti dei miei parenti facevano si che io entrassi in uno stato di meditazione e di non esistenza indescrivibili. A momenti sentivo anche le vibrazioni che provocavano le gocce di pioggia sulla superficie dell’acqua. Ognuna di esse tutte insieme. In altri momenti godevo del canto di alcuni esseri alati, torbidi, che si muovevano armoniosamente da una parte all’altra dell’azzurro cielo. Tuttavia, quando questi alati cantori si avvicinavano, e sentivo il rumore delle loro teste affacciandosi all’acqua, la mia casa in questo preciso istante era fatta di paura, di pericolo. Allora io scappavo, nuotavo con tutte le mie forze fino a non sentirli più.
Così tra suono e suono, canto e sussurro, il silenzio si stabiliva ed allora la mia casa era fatta di pace infinita, io e lei vincolati a un unico ritmo, io e lei un tuttuno e distinti.
Un giorno, io stesso scoprii che mi ero trasformato e feci un movimento strano che mi tirò fuori dall’acqua, o da quello che dovetti identificare in quel momento come”fuori da” e chiamare terra ferma. Fu allora così, come partendo dal mio cambiamento, che la mia casa si ingrandì ed io, ormai non soltanto nuotavo, ma anche saltavo. Questa terra ferma, casa prima implicata nella pozzanghera dove abitavo all’inizio dell’inizio, mi cominciò a rivelare i suoi misteri.
Da questo mio nuovo posto non solo riuscivo a vedere chiaramente pezzi del cielo azzurro, ma soprattutto riuscivo a vedere le più svariate sfumature di verdi, gialli e rossi. Quando saltavo il panorama di colori e di suoni si ampliava. Trovai quindi che la mia casa non aveva limiti spaziali e che la mia vita trascorreva tra momenti di luce e momenti di oscurità. Tra suoni e colori che erano in sincronia con la luce e tra suoni e “colori” che lo erano col buio. Fu qui dove ebbi una sensazione indefinita e familiare, che, dopo avere vissuto in una terza casa, potei chiamare libertà.
In un momento di luce, al quale alcuni esseri chiamano “giorno”, saltavo tranquilla cercando alimento. All’improvviso sentii che non potevo muovermi più, che non potevo saltare, né nuotare e che neanche potevo vedere la luce. Pensai che ero morta, ma riflettendoci, già più calma, mi resi conto che tutto il mio corpo si spostava nello spazio ed ogni tanto vibrazioni molto forti mi facevano sentire la testa come un yo-yo. Sali e scendi. Si, io rinchiusa in non so che cosa, tanto grande quanto il mio corpo, mi muovevo al ritmo di un altro corpo i cui passi riuscivo a percepire. Più tardi compresi che stavo cambiando casa.
Non so come arrivai in quel luogo, non so esattamente che fu quello che accadde, ma quando tornai in me, mi trovai in una “specie di posto”; intorno a me c’erano pietre, alcune foglie mezze verdi e terra, ma non come quelle della mia casa anteriore. Avevo una sensazione strana, sospettavo che qualcosa fuori di me, incontrollabile, aveva rotto quella magia del mio posto del principio del principio. Questa situazione si concretizzò in terrore quando mi resi conto che saltando verso l’alto o in avanti, la mia testa e il mio corpo si schiantavano contro qualcosa che sembrava un soffitto e delle pareti invisibili. Non capivo dove ero; la mia vita ora non trascorreva tra momenti di oscurità e luce, ma trascorreva in una penombra eterna, tra i falliti salti e le paralisi del terrore. Di conseguenza il mio corpo ormai ridotto a uno spazio dove non potevo muovermi a mio agio cominciò a dare periodicamente salti brevi da un lato all’altro, senza nessuna ragione.
Questa fu la mia terza “casa” , separata da quella del principio del principio, di quella della terra ferma che prima era implicata in quella dell’inizio dell’inizio e che dopo fu una cosa sola con essa. A questo punto, qui in questa casa, non mi sentivo più vincolata dal ritmo della mia casa, dai ritmi della natura. Semplicemente questa non era la mia casa.
Ogni tanto, arrivava un essere che aveva grandi estremità che non erano quelle mie, e mi buttava il mangiare. Seppi che era questo perché in un occasione esplorando lo assaggiai e somigliava al mio, soltanto che io non dovevo cacciarlo. Allora comincia a comportarmi di un modo strano di fronte al cibo che mi si offriva; inventai tutto un rituale di movimenti che fino a quel momento per me risultavano sconosciuti: piccoli e ridicoli salti, uno due tre!, in avanti, uno due tre!, indietro.
Pertanto fu in quello spazio di casa che scoprii quelli che erano i limiti imposti da un altro che non mi somigliava affatto. A volte, da lì, riuscivo a scorgere la mia vecchia casa. La vedevo quando saltavo ed ancora la stanchezza per i colpi alla testa non mi aveva vinto. La vedevo quando la mia pelle sentiva la luce ed il mio corpo si girava per affrontarla. Quella luce che proveniva da una specie di buco rettangolare che si “apriva” a momenti, quando quello che si prendeva cura di me lo toccava.
Quei momenti della mia vita, senza i miei suoni abituali, con un po’ d’acqua, appena per inumidire il mio corpo, senza la mia apprezzata luce, con i miei rituali e le mie stereotipie, furono i peggiori di tutta la mia esistenza.
Un giorno per puro caso, a mia sorpresa, feci un salto e mi resi conto che il soffitto trasparente non c’era più, di modo che decisi di saltare più in alto, finché riuscii a superare quella prigione di pareti trasparenti. Spinta per una forza segreta continuai a saltare, fino a quello che oggi so voi chiamate finestra; quel buco rettangolare da dove proveniva la luce che la mia pelle identificava come una sensazione visuale conosciuta. Saltando, saltando ritornai a percepire i miei svariati verdi, gialli e rossi, sentii i rumori della mia antica casa e riuscii a sentire il suono dell’acqua e i canti degli alati esseri. Arrivai fino all’acqua , vidi gli insetti che volavano e mi misi a nuotare.
Ora, finalmente, posso dirvi che la mia casa, la verde, l’azzurra, quella dei rumori, quella dei suoni, quella dell’aria, quella della luce è ciò che mi fa sentire che anch’io sono la Natura . Quella del principio del principio legata alla terra ferma.
Ogni tanto sento i passi di quell’essere che somiglia a voi ed al quale devo il fatto di aver potuto dare il nome a questa sensazione di libertà che mi dà la mia casa. Quella del principio del principio, quella di sempre…
Casa di Anfibio.

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