16/11/04

Il Signor Caffé e la ripresa Tv

di Perricone Carmen Siracusa, Prima Classificata

Un intervista televisiva, da rilasciare da lì a poche ore, mette in crisi l’intervistato. Come aveva mai potuto accettare di partecipare a quel talk show, si chiedeva; lui un personaggio così popolare e conosciuto, sulla bocca di tutti… o forse sarebbe meglio dire “nella” bocca di tutti. Sì, perché l’intervistato impaurito è il caffé.
Viene rappresentato, attraverso un originale uso dei canoni letterari della favola, la moderna società dell’immagine, in cui è l’apparire ad avere il posto di comando. Dopo innumerevoli elucubrazioni, l’indole schietta e “democratica” della bevanda avrà il sopravvento. E, come in ogni favola che si rispetti, sta al lettore tranne la morale

“Venghino, signori, venghino!” – per la prima volta un’intervista televisiva al Caffé. “La bevanda nazionale ed internazionale si confessa in esclusiva. Non mancate stasera all’appuntamento a casa vostra su Rete…”
Radio e televisioni strombazzavano l’avvenimento. E nel chiuso di casa sua, il Caffé pensava e ripensava a questa storia della diretta TV. Cosa diavolo gli era passato in mente di partecipare ad un talk show? Non era stata sua l’idea, no di certo. L’avevano coinvolto, corteggiato per anni e alla fine, un po’ per vanità un po’ per stanchezza, aveva ceduto. Non che non fosse già popolare, il Caffé, un tipo come lui, praticamente sulla bocca di tutti. O che non peccasse di vanità, un personaggio conosciuto in quasi tutti i Paesi del mondo, a tutte le età, a tutti gli stadi.
Perché ora, dunque, quel panico?
Sudava freddo il Caffé. Sudava freddo per quell’intervista che gli avrebbero fatto di lì a poche ore. E i motivi di apprensione c’erano eccome. A cominciare dal tempo a disposizione, appena mezz’ora per parlare degli inizi, della carriera, della sua personalità. Che dire che non risultasse banale o, peggio, scontato, per restare all’altezza di una fama mondiale che lo voleva in ogni casa, mito intramontabile?
Si sentiva piccolo e d’un tratto timido. In cuor suo invece sapeva che avrebbe dovuto mostrare energia e grinta da vendere. Lui, il Caffé, una leggenda vivente.
Eppure il Caffé di nemici ne aveva molti. Fin dagli esordi non gli erano mancati i detrattori. Ora che avevano la possibilità di dire la loro in diretta tivù, certamente ne avrebbero approfittato. Non pochi gli avrebbero rinfacciato che, come tutti, anche lui aveva un prezzo. La solita solfa che macchiava orribilmente vestiti e soprabiti – che noia – per non parlare di denti gialli ed alito cattivo. Probabile che si tirassero in ballo i suoi vizi – ahimè – mica tanto nascosti, tra i quali la caffeina. Sempre la stessa storia. Invece che minimizzati, i suoi difetti sarebbero stati a bella posta ingigantiti. Le informazioni, seppure vere, distorte fino ad assumere dimensioni grottesche, i suoi eccessi sarebbero stati messi alla berlina, vilipesi, oltraggiati da orde di benpensanti, salutisti ad oltranza, fanatici del healthness più spinto, tutti uniti in una crociata comune: “Via il Caffé dalle nostre tavole, case, vite!”. “Questo no, questo no!” – pensava confuso il Caffé. Stava esagerando se in questo momento vedeva tutto nero?
Chissà, magari qualcuno l’avrebbe pure difeso: “Toglietemi pure l’orologio, non il Caffé!” – avrebbe proferito con decisione. Ma non sarebbe bastato. Per i più, Lui si era macchiato per anni della colpa di rendere le persone nervose, irritabili. E che dire dei danni cronici causati al fegato se assunto a digiuno o, peggio, insieme al latte in una commistione acidula? Il Caffé sarebbe riuscito a mantenere i nervi saldi durante tutta l’intervista esibendo il self-control d’ordinanza e, magari, anche il black humour del suo cugino inglese Thè? O lo avrebbero tradito le focose origini sud-americane rispondendo alle domande dei cronisti tutto scuro in volto e agitandosi a dismisura? “Ohi, ohi” – pensava il Caffé – “tanti anni di onorata carriera buttati al vento per mezz’ora di esibizione catodica!”.
Eppure Lui nutriva alla fin fine un’ottima opinione di sé. Si attribuiva qualità importanti come l’aspetto forte, il gusto deciso, quel suo essere trasformista in virtù delle molteplici miscele e possibilità di assunzione. Era sempre Lui il protagonista indiscusso dei risvegli, quell’aroma possente che di mattina pervade le case, i bar, le scuole, gli uffici ad ogni ora. E’ Lui che circola ovunque, più variabile delle stagioni, più fedele di un cocker. Un amico fidato, il Caffé, capace di restare in piedi anche tutta la notte accanto a chiunque avesse una grana o un problema da risolvere. Un sostegno, un conforto, un alleato sicuro. Un compagno eccitante in più di un’occasione. Come riuscire a dire queste cose di sé senza risultare un pavone gigante? Un narcisista incorreggibile, un vanitoso patetico? Si girava e si rigirava nella sua tazzina, il Caffé, cercando mentalmente una soluzione.
Bisognava decidere subito, capire come potersi districare in quel pasticcio in cui si era trovato. Con tutta la sua ricchezza e popolarità – rifletté – non si era mai concesso il lusso di avere un agente. Era in casi come questo che il parere di un esperto poteva rivelarsi prezioso. Giurò che non si sarebbe perso d’animo. Avrebbe potuto sempre scambiare quattro chiacchiere al telefono con il Thè, suo cugino. Di sicuro lui avrebbe saputo come comportarsi anche in occasioni del genere, sfoderando la classe e la signorilità di un Lord inglese. Sempre bon ton, immancabilmente politically correct Sir Thè, ma alle volte anche noioso e pateticamente snob! No, niente consulenza britannica: gli rimaneva poco tempo a disposizione e non masticava neanche tanto bene l’inglese. Data l’emergenza della questione, pensò di rivolgersi alle frequentazioni di un tempo: l’Alcool, la Cocaina, l’Eroina e l’Erba. Chi meglio di loro era abituato ad essere ostracizzato e a difendersi dalle critiche, anche le più accese? No, a ben guardare neppure questa era una soluzione. Come fidarsi del parere di amicizie tanto compromettenti, invise a molti? Praticamente un autogoal.
Capì che doveva sbrigarsela da solo, senza aiuti esterni e presentandosi per quello che era. Un tipo semplice, uno che solo a prima vista poteva valere poco, cioè meno di un euro a tazzina. “L’importanza effettiva della bevanda non sta nelle qualità intrinseche o nella quotazione di mercato” – avrebbe detto il Caffé sotto i riflettori. “Non importa se servito in una tazza di porcellana o dozzinale di trenta centesimi”. Non era mica il tipo da fare differenze sociali, il Caffé, uno che sapeva entrare con disinvoltura in tutte le case, dalle nobiliari alle più modeste. A tutti regalava un sorriso, un’attenzione, un momento di relax. Cinque minuti di refrigerio prima di rituffarsi nel tran tran quotidiano, un’isola felice, una parentesi di benessere. Questo avrebbe detto di sé senza esagerare ma senza falsa modestia.
Il vero, inconfondibile, autentico pregio del Caffé sta nell’effetto placebo che sa generare. Nella capacità di infondere energia e grinta in chi la assume.
In come poche gocce di liquido nero operino in ogni angolo in ogni via città o Paese la stessa magia o sortilegio: il trasmettere a chiunque gli da fiducia un po’ della sua carica e della sua energia. E il Caffé finalmente sorrise. Ecco quanto avrebbe detto quella sera alla tivù.

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