16/11/04

Sconosciuta

di Angela Prandi Gargallo di Carpi (Mo), Premio Speciale ACM

Una storia senza tempo, intrisa di una dimensione fantastica, dove si assiste alla nascita del cielo e del mare amanti felici che si ritrovano divisi e condannati solo a sfiorarsi per l’eternità.

La vidi laggiù, sulla battigia, accasciata come un pallone sgonfio abbandonato da un bimbo, trascurata dai suoi pensieri, volati via per la noia o per un irresistibile richiamo. Era bella ed inquietante, caparbia nella sua immobilità, inevitabile punto di fuga a cui si volgevano la sabbia densa e mite, il mare impaziente e cupo e la schiuma del mio cuore incauto. Procedevo rallegrato dalla mia curiosità verso quella laboriosa ed esclusiva presenza; seguivo il mio sguardo, sempre avanti ai miei passi, che mi prendeva la mano e mi portava laggiù . Arrivai da lei. Quella strana creatura mossa dall’inbrunita brezza del crepuscolo volse lieve il capo per mostrarmi un sorriso appena schizzato sul suo volto, abbronzato e quieto. Non provai alcun imbarazzo per quella silenziosa vicinanza, possibile solo a due vecchi amanti o a due bimbi: Nessuno di noi due calpestava l’ombra dell’altro o aveva bisogno dello spazio circostante per proteggersi. Il vento muoveva la superficie dell’acqua, ridacchiava tra le onde e sollevava i suoi capelli, illuso forse di poterli avere tutti per sé.
- Sai qual è l’origine del mare? – disse la sconosciuta della spiaggia.
La guardai, le sorrisi e scossi il capo. Avevo la sensazione d’essere davanti ad un angelo, uno di quelli fuggiti via dal cielo, forse perché scandalizzato dall’imperio degli dei. Non parlai per non impaurire la preda del mio stupore. E lei così riprese:
- Se hai pazienza te la racconto io. –
Mi lascia cadere a terra con le mani incrociate sotto la nuca per sollevare il capo e poterla vedere dipinta sul mare. Fruscianti i lembi del mio desiderio, sprovveduto ed intenso, cadevano dagli angoli dei miei occhi, dalle pieghe delle mie mani sulla sabbia fresca, in attesa d’essere bagnati da un’onda del mare, più libero e sicuro, di notte.
La sconosciuta mi volse la schiena per andare con il pensiero oltre il contorno delle nuvole, per andare con il cuore oltre la superficie chiara e trasparente del mare, per andare con le sue parole oltre le mie difese.
Cominciò a raccontare.
- Tanto tempo fa, in un tempo che non si sa dove sia finito, il mondo che noi abitiamo era una monade d’acqua e aria, una bolla attraversata da folate di vento e onde liquide che s’intrecciavano, in un armonia di consensi e intriganti segreti. L’amore naturale tra l’acqua e il vento tesseva un arabesco di colori e un’eco di suoni, stesi al centro dell’universo che racchiudeva orgoglioso e l’ingenuo tesoro di delizie. Per fortuna le parole aspettarono il corso dei pensieri e la voce di lei riapparve – una splendida trottola roteava mossa dalla forza del suo candore, incurante della grande dea, che governava tutto. E fu lei, divinità superba e crudele la causa della fine di quel mondo che diede vita a questo. La dea, infatti, invidiosa della precarietà spudorata di quella trottola d’acqua e aria che sfacciata mostrava la sua felicità piena d’abbracci semplici e suoni lieti, s’infuriò e con la rabbia cieca di chi si sente messo da parte separò l’acqua dal vento, spezzò in due quella splendida creatura, smarrita dalla forza delle sue metamorfosi, come dall’odio della divinità. Nacque il cielo, ad ospitare il vento striato di gemiti e caldi sospiri; nacque la terra, dal suolo rigido e ostile come il volto misterioso della dea che segregò l’acqua in una culla di prigionia per tenerla divisa dall’aria, suo amato bene. Nacque in altre parole il mare, acqua sapida di lacrime per la perdita subita, che da allora contempla il cielo e come uno specchio fedele e sensibile ne imita le tonalità di blu sempre nuove di cui si colora.-
La fanciulla improvvisamente tacque per voltarsi a scrutarmi. Riprese.
- Il mare è un prigioniero a vita. Scuote, sbatte, impreca, urla il suo desiderio ferito, o forse tradito. Una rabbia antica lo muove, una notturna delusione lo acquieta. – Mi sdraiai a terra, con le mani sotto il mento.
Mi sentivo in pericolo senza sapere bene il perché.
- Vuoi sentire la forza dell’amore e dell’odio racchiusa in questa leggenda? Vuoi sentirla o ne hai paura? –
Il suo volto era mosso dall’emozione. Assentii a quella fascinosa minaccia e con un sorriso rassicurai me stesso.
- Quando il languore riempiesi sbuffi e folate il cielo, discende il vento, che muove in molteplici onde l’acqua che riesce ad accarezzare; a volte però s’accanisce risentito sulla terra, là dove affiora, in un isola o sulla costa, attorcigliandosi come fosse una trottola che ruota e distrugge. La terra, cicatrice rugosa di un’invidia eterna, trema e lambisce un lamento. Ma la vile intrusione della dea non è riuscita a mettere fine alla dedizione del vento per l’acqua, dedizione che, cieca nella sua determinazione, si erge sulla rassegnazione. –
La sconosciuta s’interruppe per alzarsi in piedi. Io rimasi in silenzio a guardare lei e una vela d’una piccola barca. Quelle parole s’erano fatte padrone di me: “ la dedizione, cieca nella sua determinazione, si erge sulla rassegnazione”. I passi regolari annunciarono un suono sordo La sconosciuta lasciò cadere sulla sabbia una corda di cuoio intrecciato, cui erano legate tre conchiglie, ricamate come le ali d’una libellula. Mi chinai per raccogliere il dono sul quale trovai incise tre parole: ribellione, sogno, realtà. E laggiù il mare. Ribellione, sogno, realtà. E la corda che li teneva si opponeva alla separazione. Sollevai lo sguardo per vedere la sagoma nera dondolarsi sulla battigia. Forse avevo capito qualcosa, qualcosa del mare, qualcosa del vento e qualcosa di me. La notte incalzava, il mare era nero, il cielo blu cobalto e la luna prediletta sussurrava una piccola luce. Tanto valeva fare ritorno, con il cuore graffiato da quel racconto e da quel ritratto

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