15/10/06

Sugheri rossi e drupe di piombo

di Salvatore – Augusta, Secondo Classificato

La malinconia per il tempo andato e per le persone care che non ci sono più, sono il leitmotiv di questo delicato racconto intimista che narra uno struggente ricordo d’infanzia.
Per aver rappresentato il legame muto tra due generazioni: quella ormai al tramonto porta via con sé una parte importante dell’altra che resta così orfana di gesti semplici ma significativi.

Siamo dietro la porta della prima stanza: quella con il pavimento scaccato che dà sulla strada prospiciente al mare.
Gli scuri sono aperti e tu stai lì, in piedi a stringere i piccolissimi nodi che legano le maniglie delle rete agganciata al pomello del chiavistello, mentre fuori l’inverno piovoso scorre battendo sui vetri. Mentre io bambino, seduto per terra con le gambe divaricate, giocherello lanciando sugheri rossi e drupe di piombo dentro il canestrino di canna intrecciata.
Di tanto in tanto guardi fuori. Rompi il silenzio e imprechi verso il levante e i superbi cavalloni dalle spumose criniere che lanciati sbrigliati al galoppo, desiderosi d’infrangersi, spingono contro la riva strappando sotto i vorticosi zoccoli nastri di posidonia.
Rompi il silenzio, Pronunci con lealtà parole disarcionanti, in faccia a una divinità cavalleggera.
Sacramenti contro la cattiva stagione che ti ha costretto ad alare la barca sul pendio della marina dove, ormeggiata al paletto, colla prua puntata al cielo sembra galleggiare tra le verdi onde delle rigogliose maie i cui petali attendono la primavera per far capolino e contrappuntare tutto di luminosissimo giallo.
Ti rivedo coll’immancabile coppola e l’asticciola a due crune che la tua mano, precisa e lesta, infila fra le maglie della fatale paratura, svolge il filo alla maniera della navicella nel telaio e stringe uno dopo l’altro quei piccolissimi nodi che, come gocce d’acqua rapite nella clessidra, sembrano misurare il resto del tuo tempo.
Siamo sul finire del tuo ultimo inverno.
L’inseparabile trinciato forte della Nazionale stretta tra le labbra, lentamente si riduce nel bianco filo di fumo che risale lungo il profilo del tuo caro viso di settantenne intento ad armare quelle reti perlate che non conobbero la calda tinta porporina né il fresco del mare, né la bella stagione: perché Dio non volle più accordarti, interrompendo per sempre anche il mio semplice gioco invernale coi sugheri rossi e le drupe di piombo da lanciare contro il canestrino di canna intrecciata.

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